Tasse green, Italia pronta allo scontro in Ue. Quanto pesa il prelievo fiscale ambientale
EconomiaIntroduzione
L’Italia è pronta a lottare contro la riforma della tassazione europea sull’energia. Ne discuteranno i ministri dell’Economia dei 27 Stati membri all’Ecofin di domani, giovedì 13 novembre. Giancarlo Giorgetti è chiaro: Roma “ha fatto e farà la guerra”, perché se venissero approvate “ucciderebbero radicalmente l’industria italiana”.
Si tratta di misure allo studio già da anni - che, in estrema sintesi, penalizzerebbero ancora di più chi utilizza soprattutto gas, petrolio e carbonio - e proprio questo è uno dei motivi che non convincono l’Italia. Sono state pensate in un altro periodo storico, antecedente alla guerra in Ucraina e alla crisi energetica che ne è scaturita, e quindi vanno rimodulate tenendo conto del quadro attuale, dicono i detrattori della riforma. Secondo quanto riferito da un alto funzionario europeo, la riforma è ancora lontana da un’intesa: la strada "è in salita" e tra le capitali europee restano "linee rosse contrastanti”. La presidenza danese punta a chiudere il dossier entro fine anno.
Quello che devi sapere
Confartigianato: il “green tax spread” colpisce l’Italia
Nelle scorse settimane, Confartigianato ha presentato un’analisi secondo cui il prelievo fiscale ambientale in Italia ha già raggiunto il valore di 54,2 miliardi di euro, più o meno il 2,5% del Pil. In Europa, si sottolinea, la media è del 2%, più basso di mezzo punto percentuale, “nonostante il nostro impatto ambientale pro capite sia inferiore dell’8,4% rispetto all’Ue”. In numeri, versiamo 11,1 miliardi di euro in più rispetto alla media dell’Unione Europea, cioè 188 euro pro capite di maggiori costi. Si parla di “green tax spread”, che – secondo il presidente di Confartigianato Marco Granelli – tra l’altro penalizzerebbe tutta la filosofia alla base delle norme europee, cioè quella del principio per cui “chi inquina paga”.
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Le nuove norme Ue: la revisione della Energy Taxation Directive
L’Unione europea vorrebbe adesso rendere le regole ancora più stringenti, andando ad esempio a modificare la Energy Taxation Directive (ETD). Queste le linee d’azione principali:
- I carburanti saranno tassati in base al contenuto energetico e alle prestazioni ambientali, piuttosto che al volume.
- La categorizzazione dei prodotti energetici a fini fiscali è semplificata per assicurare che i carburanti più dannosi per l’ambiente siano tassati maggiormente. I carburanti con il maggiore impatto negativo sull’ambiente saranno soggetti ad aliquote minime più elevate.
- Le esenzioni per il riscaldamento domestico e per alcuni altri prodotti saranno gradualmente eliminate, in modo che i combustibili fossili non possano più essere tassati al di sotto delle aliquote minime. Gli Stati membri potranno comunque sostenere le famiglie vulnerabili e proteggere contro la povertà energetica.
- I combustibili fossili utilizzati come carburante per il trasporto aereo e marittimo intra-UE, nonché per la pesca, non dovrebbero più essere completamente esentati dalla tassazione energetica nell’Ue.
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Cosa significa per imprese e cittadini
L’obiettivo dell’Unione, chiaro e dichiarato ormai da tempo, è di spingere sulla produzione di energia pulita. Aumentando il costo delle fonti come gas metano e petrolio, da più parti si continua a segnalare che il peso fiscale ricadrebbe anche sui cittadini, perché le imprese in qualche modo andrebbero a rivalersi sul prezzo finale. L’esempio più immediato è un nuovo innalzamento delle bollette, settore sul quale si interverrebbe anche nell’ottica di un’armonizzazione degli oneri sul gas e sull’elettricità.
Il peso della tassazione energetica
Tornando ai dati di Confartigianato, secondo l’associazione le voci principali della tassazione energetica per ora riguardano le accise sui carburanti (che assorbono 25,7 miliardi), le imposte sull’energia elettrica (9,1 miliardi) e le imposte sul gas metano (3,5 miliardi). Il fisco sul settore del trasporto – si sottolinea - vale 11,1 miliardi di euro, pari al 20,5% delle tasse ambientali.
Il Cbam
All'orizzonte si profilano sempre più paletti ed esborsi per settori che vanno dalla chimica al trasporto su gomma e all'acciaio. La premier Giorgia Meloni non ha mai fatto mistero di essere del tutto contraria alla svolta green europea, perlomeno per come è stata impostata finora. Due giorni fa, intervenendo all’assemblea di Federacciai, ha chiesto ad esempio di rivedere il Cbam, Carbon border adjustment mechanism, che va a tassare le importazioni di prodotti ad alta intensità di carbonio provenienti da Stati al di fuori dell’Ue. "Nella sua concreta applicazione si è rivelato dannoso per l’industria siderurgica e un incentivo alle delocalizzazioni", ha detto Meloni.
L’acciaio
Proprio il settore dell’acciaio è uno dei più preoccupati dal Cbam. "La partita della sopravvivenza dell'industria si giochi a Bruxelles. È lì che devono essere assunte le grandi scelte capaci di evitare l'irrilevanza geo-politica, economica e industriale dell'Europa in un mondo che sta cambiando a velocità supersonica ", ha detto Antonio Gozzi, presidente di Federacciai. All’assemblea ha poi evidenziato come nel 2024 il 90% dell'acciaio prodotto in Italia sia stato realizzato da forni elettrici alimentati da rottame ferroso, un modello unico nel panorama europeo. La siderurgia italiana, ha evidenziato, avrebbe quindi già ridotto del 66% le proprie emissioni di CO2 dal 1990 a oggi, detenendo la più bassa intensità emissiva di CO2 per tonnellata di acciaio prodotto in Ue. L'intensità carbonica della siderurgia italiana è inferiore del 40% rispetto alla media europea e del 61% rispetto a quello della Cina.
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