Nella bozza della legge di Bilancio ricompare un meccanismo simile alla “scala mobile”, abolita nel 1992: se i contratti non vengono rinnovati entro due anni, le retribuzioni saranno adeguate all’inflazione fino a un massimo del 5% annuo. Previsto anche il pagamento degli arretrati per i rinnovi tardivi
Dopo oltre trent’anni, il concetto di “scala mobile” riappare nel dibattito economico italiano. Abolita definitivamente il 31 luglio 1992, la misura che legava i salari all’inflazione sembra riaffiorare in una norma contenuta nella bozza della legge di Bilancio. Se approvata dal Consiglio dei ministri, in corso oggi, la proposta promette di modificare il modo in cui vengono rinnovati i contratti di lavoro.
Detassazione e adeguamento automatico
Come riporta il Corriere della Sera, il governo ha previsto due miliardi di euro per il triennio 2026-2028, da destinare alla detassazione degli aumenti contrattuali. L’obiettivo è favorire il rinnovo dei contratti, spesso bloccati per anni.
La bozza introduce però anche una novità: se un contratto non viene rinnovato entro due anni dalla sua scadenza, “le retribuzioni sono adeguate alla variazione dell'Ipca (uno dei principali indici usati per misurare il caro prezzi, ndr) entro il tetto massimo del 5% annuo, a decorrere dal primo gennaio 2026”. In pratica, chi ha un contratto fermo vedrà aggiornata la propria busta paga in base all’aumento dei prezzi, ma entro un tetto prestabilito. Si tratterebbe quindi di una misura che reintroduce un meccanismo di adeguamento automatico dei salari al costo della vita, simile a quella abolita negli anni Novanta.
Il nodo degli arretrati
Un altro punto previsto dalla bozza riguarda il riconoscimento degli arretrati. Dal 2026 ogni contratto rinnovato anche in ritardo dovrà includere gli aumenti maturati dal momento della scadenza. Significa che, se un contratto del 2025 venisse firmato nel 2028, gli aumenti scatterebbero retroattivamente da gennaio 2026. Si tratta di un meccanismo, già applicato nel pubblico impiego, che rappresenterebbe una novità per il settore privato. L’intento è duplice: incentivare il rinnovo tempestivo dei contratti e garantire ai lavoratori la piena copertura salariale.
Le reazioni politiche
Alleanza Verdi e Sinistra ha presentato una proposta chiamata “Sblocca stipendi”. Il testo chiede di agganciare automaticamente tutte le retribuzioni all’inflazione reale, finanziando la misura nel pubblico impiego con un aumento dell’imposta sulle plusvalenze azionarie.
“Serve una terapia shock per restituire agli italiani il potere d’acquisto perduto”, ha spiegato Nicola Fratoianni, mentre Angelo Bonelli ha accusato il governo di “iniquità sociale”. Secondo le loro stime, i redditi fino a 20mila euro vedrebbero un incremento di 125 euro al mese, quelli fino a 28mila 275 euro e fino a 55mila 343 euro, importi che, a loro giudizio, sono molto lontani da quelli previsti dalla manovra.
Il rischio di una nuova spirale prezzi-salari
Da Palazzo Chigi non sono arrivati commenti ufficiali. L’obiettivo è proteggere i salari dall’erosione dell’inflazione, evitando però di riattivare la spirale prezzi-stipendi che l’Italia aveva faticosamente disinnescato negli anni Ottanta. Allora la “scala mobile”, pur garantendo l’adeguamento dei redditi, contribuì ad accrescere l’inflazione. Oggi il limite del 5% e l’applicazione condizionata al mancato rinnovo dei contratti riducono il rischio, ma il principio resta simile: collegare nuovamente gli stipendi all’andamento dell’inflazione.