Introduzione
Lo stop agli ultimi legami energetici con Mosca entro il 2027 è un nodo politico ancora complicato da sciogliere per l’Unione europea. “Budapest deve smettere di importare gas e petrolio dalla Russia: è il modo migliore per accelerare la fine della guerra”, ha scandito Antonio Costa dall'Ucraina accusando Viktor Orbán di essere il principale responsabile di quel “20% di forniture” che l'Ue ancora paga al Cremlino. “L'Ungheria acquista petrolio russo apertamente perché non ha altra scelta, mentre alcuni Paesi europei lo acquistano segretamente attraverso canali alternativi, perché è più economico”, ha replicato il ministro degli Esteri, Péter Szijjártó. Qual è quindi la situazione attuale?
Quello che devi sapere
L’interconnessione dei mercati Ue
“Sicuramente vi sono molti più Paesi Ue, non solo Ungheria e Slovacchia, ancora dipendenti dai flussi di gas naturale russo che transitano attraverso la Turchia”, spiega all’Adnkronos Francesco Sassi, Postdoctoral Fellow all’Università di Oslo, commentando l’accusa rivolta da Budapest ad altri Paesi Ue. Questo vale anche per il petrolio, prosegue: “A livello apparente” sono solo Budapest e Bratislava le capitali europee che continuano a importare quello russo, ma sono a loro volta interconnesse con gli altri mercati Ue mediante un’infrastruttura capillare. “Quando la molecola di gas o greggio russo arriva in uno di questi Paesi, cambia l’etichetta d’origine e viene esportata, è russa o non lo è più? Non c’è una risposta univoca, e nonostante le pressioni che fa Bruxelles per imporre certificati di origine, è molto difficile etichettare l’energia come i prodotti del supermercato”, sottolinea l’esperto.
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Il ruolo dell’India
Sono diversi, dunque, i Paesi Ue che continuano “a giovare in maniera molto differenziata dei prodotti petroliferi a base russa”, rileva Sassi. Questo al netto delle leggi Ue più recenti che hanno introdotto un embargo sull’import di prodotti petroliferi russi da Paesi terzi, che dovrebbe colpire particolarmente l’export dell’India, la quale “assorbe molta produzione russa e vende al mercato internazionale”. Come evidenziato dalla stessa Nuova Delhi al riaccendersi delle tensioni col presidente Usa Donald Trump, che ha imposto dazi del 50% per l’acquisto di greggio russo, il meccanismo di riclassificazione “è stato legittimato, anzi supportato, negli scorsi anni, sia dalla Casa Bianca che da Bruxelles, per bilanciare i mercati energetici globali in epoca grande volatilità”; oggi la stessa dinamica è “ripetuta e riflessa in altre interdipendenze politiche che coinvolgono altri Paesi europei”.
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Una questione politica
Detto questo, la tesi ungherese secondo cui l’approvvigionamento di petrolio dalla Russia è una necessità fondamentale è “fuori luogo”, prosegue l’esperto, sottolineando che l’Ungheria può rifornirsi tramite l’infrastruttura europea. “Va considerata la questione dei costi e della convenienza economica, ma qui la questione mi pare principalmente politica, relativa a una sovranità energetica nazionale enfatizzata al punto da cancellare qualsiasi altra variabile che può condizionare i flussi”. Anche perché buona parte dell’Europa occidentale, nonostante la dipendenza residua, ha cessato di importare idrocarburi russi, evidenzia Sassi.
Cambi drastici sono praticabili?
Quella europea, così come quella ungherese, è “un tipo di dipendenza sviluppata nel contesto di decenni di interdipendenza energetica, che non possono essere cancellati di punto in bianco senza aspettarsi ripercussioni politico-economiche molto profonde”, sottolinea Sassi. Per ora queste sono state 'limitate', ma il taglio di import russi non ha cambiato le sorti della guerra in Ucraina. La domanda che pone l’esperto è quella della praticabilità di cambi drastici ai sistemi di approvvigionamento, considerando le altre variabili in gioco, come la crescente politicizzazione del rapporto energetico tra Ue e Usa causato dal ritorno di Trump alla Casa Bianca.
I rapporti di potere
Il ricercatore ricorda poi che nel contesto dell’accordo sui dazi di luglio Bruxelles si è impegnata ad acquistare 750 miliardi di dollari di energia statunitense in tre anni, accordo che definisce “contraddittorio, paradossale, e francamente imbarazzante”. Tuttavia, il piano energetico “è fondamentale per capire i rapporti di potere. A me pare che gli Usa abbiano usato leve per ottenere un accordo nei fatti non implementabile”, ponendo l’Ue in una “condizione politica di perenne e continuo svantaggio” perché quando Washington vorrà esercitare pressioni su Bruxelles in futuro potrà richiamare i termini disattesi dell’accordo.
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Il mondo e l’Europa a diverse velocità
Il tema degli approvvigionamenti è dunque profondamente politico: anche in Ungheria e Slovacchia, dice Sassi, “non si guarda soltanto all’economicità dei flussi energetici, ma alla rilevanza dei flussi politici. Occorre che si capisca molto bene in un’Europa che crede nelle leggi del mercato globale come logica che sottende alla politica estera e alla geopolitica in generale. Il mondo sta cambiando e lo sta facendo molto più velocemente di quanto l’Europa possa riorganizzare la propria sicurezza energetica”. Senza contare le difficoltà pratiche di rompere gli accordi commerciali di approvvigionamento con la Russia, mossa che “porterebbe ad arbitrati internazionali e risarcimenti molto oltre le possibilità finanziare” di Paesi come Ungheria e Slovacchia.
Il mercato e la geopolitica vs la roadmap
In questo frangente, la roadmap presentata dall’Ue per completare il phase out degli idrocarburi a favore della generazione di energia pulita “è quotidianamente messa in discussione”. Fermo restando che si potrebbe comunque raggiungere la piena attuazione del programma europeo, non in virtù di esso, ma “quando il mercato ci avrà già portato in quella direzione, magari per mancanza di interesse europeo e anche russo”. I risultati di tali piani di medio periodo “arrivano sempre quando le cose sono già state decise altrove, o da questioni di mercato o questioni di geopolitica”, due forze che “si muovono molto più velocemente di qualsiasi roadmap”, conclude Sassi.
L’obiettivo dell’Ue e i dati
Durante la riunione informale dei ministri dell'energia a Copenaghen, il commissario responsabile, Dan Jorgensen, ha ribadito che l'obiettivo dell'Ue di eliminare le importazioni di energia dalla Russia entro la fine del 2027 rimane anche nel caso di un accordo di pace tra Mosca e Kiev. "Non si tratta di una sanzione temporanea", ha assicurato il politico danese, promettendo che l'Ue non "importerà mai più nemmeno una molecola di energia russa quando questo accordo sarà raggiunto". Con la chiusura del transito via Ucraina a partire da inizio 2025, la quota di gas russo in Ue dovrebbe scendere al 13% quest'anno dal 45% che si registrava nel 2022, prima dell'inizio della guerra. Quanto al petrolio, il greggio russo copre appena il 3% della domanda europea ma rappresenta ancora l'80% delle forniture di Ungheria e Slovacchia attraverso l'oleodotto Druzhba.
Le tappe e i veti
Bruxelles ha proposto un phase out in tre tappe per il gas: dal primo gennaio 2026 un divieto di firmare nuovi contratti; lo stop agli accordi a breve termine già in corso entro il 17 giugno 2026 ed entro il 31 dicembre 2027 per quelli a lungo termine. Obiettivo che, a fine 2027, vale anche per il greggio russo. La proposta è ora sul tavolo del Parlamento Ue e dei governi che dovranno trovare un accordo entro fine anno, mentre Budapest e Bratislava rallentano i negoziati opponendosi alla stretta. Proprio per aggirare i veti delle due capitali, la proposta di Bruxelles fa leva sul diritto commerciale Ue che consente l'adozione delle misure a maggioranza qualificata per evitare il vincolo dell'unanimità. Colloqui sono in corso per cercare di convincere le due capitali “a mandare un chiaro messaggio di unità” a Putin approvando la stretta a ventisette. Ma se così non dovesse essere, Bruxelles si dice pronta da approvarla senza il loro sostegno.
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