Introduzione
È stato confermato il cosiddetto bonus Giorgetti, cioè quella misura – un incentivo economico – rivolta a chi decide di proseguire con il lavoro nonostante abbia maturato il diritto alla pensione anticipata entro il 31 dicembre 2025. Questa possibilità, rivolta a dipendenti del pubblico e del privato, consente di ottenere in busta paga i contributi previdenziali a proprio carico, pari al 9,19% dello stipendio imponibile. Di norma, questa quota è versata all’Inps.
Quello che devi sapere
Da settembre per il privato, da novembre per il pubblico
Il bonus sarà esentasse: in questo modo aumenta l’importo netto della retribuzione mensile. Dovrebbe apparire fra le voci del cedolino in seguito all’estate: da settembre per i lavoratori del settore privato; da novembre per i dipendenti del settore pubblico.
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Molto più conveniente rispetto alla versione precedente
La decisione di rendere esentasse il bonus Giorgetti fa sì che sia molto più conveniente rispetto alla versione precedente, perché – appunto – non è più soggetto a tassazione. Nel corso del 2024 era invece assoggettato all’Irpef, l’imposta sul reddito. Questo vantaggio immediato va però messo in relazione con un potenziale svantaggio sui tempi più lunghi (la futura pensione, infatti, sarà più bassa: i contributi sono già stati ricevuti dal lavoratore quando quest’ultimo era ancora attivo).
Circa 7mila persone potrebbero beneficiarne
Stando alle previsioni, potrebbero beneficiarne circa 7mila persone nel 2025. Potrà accedere alla misura chi si trova ad avere i requisiti richiesti per la pensione anticipata flessibile (quindi 62 anni e 41 anni di contributi) e chi ha i requisiti per la pensione ordinaria (almeno 41 anni e 10 mesi per le donne, 42 anni e 10 mesi per gli uomini). È possibile presentare domanda all’Inps.
Deriva dal Bonus Maroni
La misura si ispira alla riforma del sistema pensionistico attuata nel 2004 dall’allora ministro del Lavoro, Roberto Maroni. Già ai tempi si stabiliva un incentivo economico destinato ai lavoratori che sceglievano di rimanere in servizio dopo aver raggiunto i requisiti per la pensione anticipata. La permanenza al lavoro comportava, come avviene per l’incentivo odierno, il mancato incremento del montante contributivo e un conseguente taglio del futuro assegno pensionistico.
Nei prossimi cinque anni perdita di 700mila unità sul lavoro
Intanto, spiega la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) Lilia Cavallari, gli effetti del calo demografico e dell'invecchiamento della popolazione provocheranno un aumento della spesa pensionistica e sanitaria (ma i conti pubblici terranno) calo della forza lavoro e della crescita potenziale. Cavallari ha spiegato che "il calo della popolazione iniziato nel 2014 continuerà accompagnandosi all'invecchiamento progressivo", che porterà la quota giovani a stabilizzarsi intorno al 24% nel medio termine. Questo avrà un effetto sulla forza lavoro: "Se mantenessimo i tassi attuali di occupazione, nei prossimi 5 anni avremmo una perdita di 700mila unità", ha spiegato. Di conseguenza, calerebbe anche la produttività, perché la forza lavoro invecchia e già ora la classe di lavoratori più numerosa è quella dei baby boomer, cioè tra 50 e 64 anni. Le previsioni sulla crescita del potenziale sono quindi "modeste per la bassa produttività e l'andamento sfavorevole della demografia". Per i conti pubblici il quadro è di "sostanziale tenuta, pur con la prospettiva di un significativo aumento delle spese legate all’invecchiamento nel prossimo decennio".
Urgente l’assunzione di donne e giovani
Per contrastare le tendenze demografiche, Cavallari ha sottolineato l’urgenza di politiche attive per aumentare l’occupazione, specialmente di giovani e donne, e contrastare l’alto tasso di inattività. Fondamentale anche attrarre immigrati qualificati e trattenere i giovani italiani. "Il saldo migratorio può dare un supporto significativo al contenimento del declino demografico e ad aumentare la popolazione attiva", scrive l'Upb nella memoria depositata in commissione. Sul fronte pensionistico, va mantenuto l’adeguamento automatico all’aspettativa di vita dei requisiti anagrafici e contributivi minimi per l’accesso al pensionamento, "al fine di attenuare l’aumento dell’indice di dipendenza dei pensionati ed evitare che le pensioni risultino troppo basse, con conseguenti pressioni sugli istituti assistenziali". Criticità emergono anche nella sanità e nell’assistenza di lungo termine, con l’esigenza di rafforzare servizi e personale.
Da oggi al 2070
"Tra il 2022 e il 2070 il rapporto della spesa pensionistica lorda sul Pil diminuirebbe di 1,9 punti percentuali. Le analisi confermano che le modifiche normative introdotte nel corso dei decenni passati, insieme all’aggancio dell’età di pensionamento all’aspettativa di vita, sono state e saranno essenziali per il controllo della dinamica della spesa", spiega l'Upb. "Le prestazioni future saranno comparabili con quelle attuali se il mercato del lavoro sarà in grado di assicurare carriere lunghe, continuative e ben remunerate", aggiunge.
Per approfondire: In Italia sempre più italiani lavorano anche dopo il pensionamento