Dazi Trump, cosa significherebbero le imposte per l’Europa (e forse per l’Italia)?

Economia
Ansa/Ipa

Introduzione

Nei giorni scorsi - parlando con i reporter nello Studio Ovale - il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, alla domanda se intende imporre dazi sui prodotti dell'Unione europea dopo quelli su Messico, Canada e Cina, ha risposto: "Volete la risposta vera o quella politica? Certo che lo farò, l'Europa ci ha trattati malissimo".

 

"L'Ue resterà fedele ai suoi principi e, se necessario, sarà pronta a difendere i propri interessi legittimi", ha replicato un portavoce della Commissione europea, richiamando le posizioni espresse nei giorni scorsi dalla presidente Ursula von der Leyen e dal commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic, e sottolineando la fermezza dell'Europa di fronte a possibili misure protezionistiche.

 

È dal suo insediamento che l’inquilino della Casa Bianca mantiene la linea della minaccia di dazi sui beni di quei Paesi che non hanno un rapporto commerciale "equilibrato" con gli Usa. Il suo ministro del Tesoro, Scott Bessent, avrebbe in mente di imporre tariffe universali del 2,5% sulle importazioni, da far salire poi gradualmente ogni mese concedendo così tempo alle aziende di prepararsi e ai vari Paesi di negoziare con l'amministrazione. Ma per il tycoon non è abbastanza: le percentuali valutate dal presidente americano sono ben più alte - dal 10% al 25%, come quelle applicate rispettivamente a Cina e a Messico e Canada - e non sarebbero graduali.

Quello che devi sapere

L’Italia rischia i dazi?

  • Trump non ha parlato di tempistiche per quanto riguarda gli eventuali dazi nei confronti dell’Unione europea. Tariffe che al momento non sembrano significare un’applicazione automatica delle imposte anche per l’Italia, come ha lasciato intendere il presidente Usa quando - a fine gennaio - interpellato sulla questione ha replicato solo: "Meloni mi piace molto, vediamo cosa succede". Un’affermazione chiaramente in contrapposizione con quella, ripetuta più volte nelle ultime settimane, dell’Ue che "ci tratta molto male".

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La strategia di Trump verso l’Europa

  • Le parole del presidente degli Stati Uniti delineano il ritorno dei dazi selettivi - modulati in funzione del livello di gradimento del singolo leader politico - come grimaldello per cercare di dividere i Paesi dell'Unione europea proprio nel momento in cui l'agenda Draghi - più integrazione come una via per rilanciare la crescita - è giudicata più urgente che mai. Gli esperti hanno notato i toni duri verso l’Ue del discorso al World Economic Forum: c'entra il forte surplus commerciale europeo (soprattutto tedesco e italiano), c'entrano la regolamentazione Ue del digitale e i contenziosi con Big Tech, così come la spesa militare per la Nato, dove peraltro l'Italia è agli ultimi posti.

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Come potrebbe rispondere l’Europa?

  • Se Trump andrà fino in fondo il problema si porrebbe per la risposta europea. Nelle scorse settimane il commissario Ue agli Affari economici Valdis Dombrovskis ha auspicato la compattezza dei partner dell'Unione e ha fatto notare "che il commercio internazionale è una competenza esclusiva dell'Unione europea, che è un'unione doganale con un'unica politica sui dazi e sul commercio". Un'osservazione che vale per le eventuali misure ritorsive con cui l'Europa potrebbe rispondere ai dazi americani, sempre possibili ma su cui l'Ue non è equipaggiata con la stessa agilità di Washington. Ma nulla può contro i favori che Trump può concedere a questo o quello Stato membro con l'intento di scoraggiare una reazione compatta. Reazione che non passerebbe necessariamente dai dazi: sono tanti i dossier caldi fra Bruxelles e Washington dove una Ue unita avrebbe leve efficaci. "Trump sta guardando al deficit dell'interscambio fra Stati Uniti ed Europa soprattutto sui prodotti, ma non è tutto bianco e nero. C'è anche l'interscambio dei servizi e dei flussi di capitale", ha ricordato la presidente della Bce Christine Lagarde a Davos, riferendosi all'invasione del mercato europeo di servizi digitali Made in Usa, dove una posizione unitaria europea sul piano della regolamentazione  sarebbe dolorosa per la Silicon Valley. Ancora più sul tema della tassazione delle multinazionali, un antico cavallo di battaglia della destra europea oggi sparito dai radar, dove Big Tech si distingue per le tasse irrisorie pagate in Europa.

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I dazi costerebbero all’Italia oltre 7 miliardi

  • Ipotizzando dazi americani del 10% sulle importazioni, il rischio per il Made in Italy è quello di pagare costi aggiuntivi da più di 4 miliardi a oltre 7 miliardi di dollari, secondo alcune simulazioni realizzate da Prometeia nei mesi scorsi. Una stretta che andrebbe sommata ai quasi 2 miliardi di dazi fronteggiati nel 2023 e che peserebbe su settori di punta dell'export tricolore a partire dalla meccanica, dal sistema moda e dall'agroalimentare. Le imprese sarebbero costrette a scegliere se farsi carico dell’aumento tariffario per mantenere il proprio  posizionamento competitivo oppure lasciarlo peggiorare a causa dei prezzi finali più alti per effetto dei dazi

I due scenari

  • L'analisi, a cura di Claudio Colacurcio e Carmela Di Terlizzi, ricorda che gli Stati Uniti sono il secondo mercato di sbocco per l'Italia dopo la Germania e prende in considerazione due  possibili scenari. La prima ipotesi immagina un aumento di 10 punti solo sui prodotti che già sono sottoposti a dazi e stima un costo aggiuntivo di oltre 4 miliardi. La seconda simula  invece un aumento tariffario generalizzato di 10 punti, il cui  costo aggiuntivo supererebbe i 7 miliardi. In questo caso, il nuovo protezionismo andrebbe a colpire  anche i beni a media e alta intensità tecnologica, per esempio nella meccanica e nella farmaceutica, che sono oggi meno esposti  alle tariffe perché funzionali alle produzioni domestiche americane. Un aumento limitato ai prodotti già esposti a tariffe, invece, peserebbe di più su moda e cibo.

Per approfondire: Usa, Trump minaccia l’Ue con i dazi. Ecco perché l’Italia è "osservata speciale". I dati

Gli scambi commerciali tra gli Usa e l'Ue

Tornando all'Unione Europea, che è uno dei principali partner economici di Washington, ecco alcuni dati chiave sul commercio fra le due sponde dell’Atlantico:

  • Nel 2023 - secondo dati Eurostat - tutti i Paesi Ue hanno esportato 503,8 miliardi di euro di beni negli Stati Uniti e ne hanno importati 347,1 miliardi. Vale a dire un surplus commerciale di quasi 157 miliardi di euro a favore dei 27. Per il dipartimento del Commercio americano, questo squilibrio è ancora più alto, attorno ai 200 miliardi di dollari
  • La Germania è di gran lunga il Paese con il maggiore surplus, in gran parte legato alle vendite della sua industria automobilistica oltre oceano e ai suoi colossi chimici, come Bayer o Basf. Seguita nel 2023 dall'Italia, esportatore di automobili e beni strumentali, e dall'Irlanda, una delle roccaforti mondiali nella produzione di medicinali
  • A differenza dei beni, la bilancia dei servizi pende nettamente a favore degli Stati Uniti. Questo indicatore comprende, in particolare, i servizi di trasporti aerei o marittimi, i servizi di telecomunicazioni, la consulenza aziendale o quella finanziaria. Nel 2023, secondo i dati provvisori di Eurostat, l'Ue ha registrato un deficit nel saldo dei servizi di 104 miliardi di euro. Secondo i calcoli del dipartimento del Commercio americano, il saldo a favore degli Stati Uniti è leggermente inferiore alle stime europee, a 76,5 miliardi di dollari. Questo squilibrio nei servizi è alimentato dal deficit dell'Irlanda, dove si trovano le sedi europee dei grandi gruppi digitali americani (Apple, Google o Meta), che pagano ingenti royalties e diritti di licenza alle loro società madri negli Stati Uniti. Gli scambi di servizi Ue-Usa mostrano, come per i beni, dinamiche in crescita. Secondo Eurostat, le esportazioni di servizi dell'Ue verso gli Stati Uniti sono aumentate tra il 2012 e il 2022, con una quota sul totale in aumento dal 18,5% al 22%. La percentuale delle importazioni di servizi dell'Ue provenienti dagli Stati Uniti è invece aumentata dal 24,6% al 34,3%.

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