Jobs Act, la Consulta amplia le tutele per i lavoratori licenziati: ecco cosa cambia
Per gli assunti con il contratto a tutele crescenti introdotto dal decreto del 2015, il reintegro viene esteso a tutti i casi di nullità del licenziamento, non solo quelli previsti "espressamente" dalla legge. Lo ha deciso la Corte costituzionale
- La Corte costituzionale ha esteso le tutele per i lavoratori licenziati che il Jobs Act aveva invece limitato. Con la sentenza n. 22 del 2024, la Consulta ha infatti dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, primo comma, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alla parola "espressamente". Cosa significa?
- La sentenza elimina i paletti stabiliti dal Jobs Act per tutti gli assunti con il contratto a tutele crescenti introdotto dal decreto del 2015. In sostanza, i casi di nullità del licenziamento dei lavoratori appartenenti alla categoria citata non devono essere previsti "espressamente" dalla legge
- Ancora più precisamente, spiega La Repubblica, grazie alla sentenza della Corte costituzionale è possibile reintegrare un lavoratore licenziato ingiustamente, anche se assunto con il Jobs Act, pure nei casi in cui è la giurisprudenza - e non la legge - a elaborare la causa di nullità
- L'articolo su cui si è espressa la Consulta prevede che il giudice, con la pronuncia con cui dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio o perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, "ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto"
- Secondo l'interpretazione della Corte, invece, tale disposizione "è stata ritenuta illegittima" nella parte in cui si specifica che il reintegro viene riconosciuto per i lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti (quindi a partire dal 7 marzo 2015) nei casi di nullità previsti "espressamente" dalla legge
- Tale limitazione era stata contestata dalla Cassazione, secondo cui il decreto legislativo del 2015 aveva violato l'articolo 76 della Costituzione che regola l'attuazione delle leggi delega. Il Jobs Act fu varato proprio secondo questa procedura, che prevede a monte una legge delega approvata dal parlamento che indica i principi della riforma, e a valle uno o più decreti legislativi emanati dal governo che attuano gli stessi princìpi
- Secondo la Cassazione, nei princìpi della legge delega si era detto che la riforma avrebbe dovuto prevedere la tutela del reintegro nel posto di lavoro in tutti i casi di "licenziamenti nulli", senza distinzioni. Mentre il governo, con il decreto legislativo n. 23, aveva limitato questa tutela ai soli licenziamenti nulli "espressamente" previsti dalla legge, non attenendosi quindi alle indicazioni del parlamento. Ora è arrivata la sentenza della Consulta, che conferma la versione della Cassazione
- "Prevedendo la tutela reintegratoria solo nei casi di nullità espressa", precisano i giudici della Corte Costituzionale, il Jobs Act "ha lasciato prive di specifica disciplina le fattispecie 'escluse', ossia quelle di licenziamenti nulli sì, per violazione di norme imperative, ma privi della espressa sanzione della nullità". In questo modo, spiega la Consulta, si è dettata "una disciplina incompleta e incoerente rispetto al disegno del legislatore delegante"
- "Siamo contenti che esca questa sentenza", ha commentato Ivana Veronese, segretaria confederale della Uil, sottolineando che si tratta di "un passo avanti nella ridefinizione e anche nel riequilibrio del Jobs Act". Favorevole anche la Cisl: "Riteniamo sia condivisibile in quanto amplia la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici anche ai casi di nullità non espressamente previsti dalla legge", ha detto il segretario confederale Mattia Pirulli
- Pirulli si dice inoltre convinto che questa sentenza possa avere "un impatto positivo sul piano operativo senza intaccare i principi fondativi del contratto a tutele crescenti che troppo spesso sono stati oggetto di critica al Jobs Act". Si riserva di commentare nel dettaglio la Cgil, che ritiene comunque positiva la sentenza della Consulta, pur contestando tutto il decreto legislativo n. 23