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Affitti brevi, il governo verso la stretta. Quali sono le proposte di Comuni e proprietari
Si discute ancora delle piattaforme che permettono ai turisti di soggiornare per brevi periodi nelle mete turistiche: da un lato i sindaci chiedono di implementare nuove misure a livello nazionale mentre dall’altro i proprietari vorrebbero applicare le regole già esistenti e semplificare alcune procedure. “Il sistema va normato perché è un vero e proprio far west ma dobbiamo riflettere sulle specificità della nostra nazione”, ha dichiarato la ministra del Turismo Santanché

Turisti e città d’arte affollate nei giorni di vacanza pasquale, con l’inevitabile bis il prossimo 25 aprile, riportano in auge il tema degli affitti turistici brevi: in discussione è soprattutto l’effetto provocato da piattaforme come ad esempio Airbnb
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OPINIONI DIVERSE – Da un lato ci sono i sindaci che chiedono un intervento a livello nazionale e la ministra del Turismo Daniela Santanché che sostiene come “il far west debba finire”, dall’altro invece ci sono le organizzazioni del settore, come ad esempio Confedilizia, che chiedono di “sistemare le regole attualmente in vigore"
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REGOLE NON APPLICATE – Secondo la ministra Santanché “certamente dobbiamo regolamentare e abbiamo già aperto un tavolo di lavoro al ministero con tutte le associazioni di categoria. Il sindaco Sala ha ragione: serve una legge nazionale. Ci stiamo lavorando e abbiamo già un tavolo fra venti giorni e poi arriveremo con una proposta che vede coinvolte le associazioni di categoria", ha dichiarato la titolare del dicastero del Turismo a margine della festa dei 171 anni della Polizia di Stato
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REGOLE PRECISE - Secondo la ministra del Turismo bisogna però "riflettere bene sulle specificità della nostra nazione, perché penso ad esempio ai piccoli borghi. In Italia sono oltre 5600 e lì di strutture alberghiere non ce ne sono, quindi sono importanti gli affitti brevi". Inoltre "è evidente che chi affitta una stanza della propria casa o ha avuto un appartamento in eredità e magari lo fa per arrotondare e arrivare a fine mese è un conto, rispetto a chi ha venti appartamenti e ne fa una professione"
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LA PROPOSTA DEI SINDACI – I sindaci hanno già pronta una proposta da presentare alla ministra. “L’idea è autorizzare gli affitti brevi sopra i 90 giorni all’anno emettendo delle licenze che dureranno 5 anni. Questo all’interno di una programmazione della città dove si individuano le zone dove queste autorizzazioni possono essere emesse”, ha dichiarato il sindaco di Bologna Matteo Lepore
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SERVE UN INTERVENTO NAZIONALE – Il problema degli affitti brevi è un tema che non riguarda soltanto le città italiane ma anche quelle europee: per questo servono delle risposte macro, in grado di dare una soluzione generale. “Il turismo non deve essere considerato un problema ma va governato. Si parla di un fenomeno globale e l’idea che un sindaco da solo possa risolvere un problema globale che riguarda intere nazioni è una assurdità. Per questo chiediamo un intervento a livello nazionale”, ha evidenziato il sindaco di Firenze Dario Nardella
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LE RICHIESTE DI ABROGAZIONE – Nessuna nuova norma, ma una sistemazione di quello che già c’è. A chiederlo sono Confedilizia e altre 12 organizzazioni rappresentative del settore, che hanno presentato al ministro del Turismo un documento dove chiedono di abrogare due norme: la prima si riferisce al Comune di Venezia, che oggi ha la possibilità di limitare gli affitti brevi nel centro storico. La seconda è quella che “trasforma obbligatoriamente in imprenditore il proprietario che intenda locare per periodi brevi più di quattro appartamenti”

LE PROPOSTE DI CONFEDILIZIA – Tra le proposte di Confedilizia ci sono quella di ridurre ad un unico adempimento “a carico del proprietario (o al gestore professionale del suo immobile), la comunicazione telematica alla Questura circa i dati e le informazioni normativamente richiesti con l’assegnazione di un codice identificativo o numero di registrazione”, la volontà di “uniformare la normativa nazionale” e, al fine di garantire una certa trasparenza del settore, l’attivazione del “Codice identificativo nazionale” (Cin), varato nel 2019 ma mai diventato operativo
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