Atteso il varo da parte del governo del disegno di legge slittato numerose volte per gli attriti tra i partiti. Molti gli interessi in gioco, con misure che puntano a liberalizzare diversi settori economici: dall'energia ai trasporti locali
E’ un parto travagliato quello della legge sulla concorrenza. Attesa a luglio, è ancora allo studio e alla fine probabilmente alcuni importanti capitoli saranno rinviati. Tante le tensioni all’interno della maggioranza a fronte di una vasta materia che da sempre crea frizioni per i tanti interessi in gioco.
Liberalizzare settori come il trasporto nelle città, la gestione dei rifiuti, l’energia o rivedere i permessi per il commercio ambulante, solleva le proteste di intere categorie, che temono di perdere guadagni, investimenti e lavoro.
D’altro canto, una maggiore concorrenza (come ci ripete l’Europa) dovrebbe garantire risparmi allo Stato, prezzi più bassi per i cittadini, la fine di rendite ingiustificate e una maggior efficienza.
Per fare un esempio: quando gli autobus sono in costante ritardo o l’immondizia si accumula sui marciapiedi il motivo può essere dovuto anche al fatto che da decenni a gestire questi servizi sono sempre le stesse ditte (quasi sempre pubbliche) e non si fanno gare per cercare qualcuno che provi a migliorare le cose.
Questo è uno dei temi che dovrebbe affrontare il provvedimento previsto nell’ambito del Recovery Fund, ma atteso da molto più tempo, visto che dal 2009 si dovrebbe varare una legge sulla concorrenza all’anno (in modo da correggere periodicamente il tiro), un impegno finora rispettato solo nel 2017.
Il governo Draghi punta non solo ad aprire i servizi pubblici locali, ma anche a facilitare l’accesso agli operatori nel mercato della fornitura di energia elettrica e del gas, nonché a rivedere le concessioni portuali, la vendita di farmaci generici e a introdurre l’obbligo di risarcimento diretto per le assicurazioni auto.
Rimarrebbero fuori, invece, altre questioni cruciali: dalla proroga delle concessioni balneari ai permessi per gli ambulanti, passando per la gestione delle infrastrutture idroelettriche come le dighe, ora affidate alla Regioni.