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Luigi Calabresi, 50 anni fa veniva ucciso il commissario a Milano

Cronaca
©Getty

Il 17 maggio del 1972 ci fu quello che viene descritto come il primo omicidio politico degli anni di Piombo. I responsabili sono stati individuati con un lungo e travagliato processo iniziato anni dopo, ma non tutti hanno scontato la pena

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La mattina del 17 maggio del 1972 un commando uccise il commissario Luigi Calabresi davanti a casa sua a Milano. “Ogni 17 maggio alle nove e un quarto, io guardo l’ora e dico: ecco, adesso. Adesso esce di casa e lo uccidono”, ha detto la vedova, Gemma Capra, l’anno scorso, in occasione del 49esimo anniversario dall’omicidio. "Io oggi sono serena, ho fatto un lungo percorso di perdono", ha aggiunto nelle scorse ore, per il 50esimo anniversario.

L’omicidio

Calabresi - vice-responsabile della sezione politica alla questura di Milano - era ritenuto da alcuni responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra del quarto piano della questura mentre era sottoposto a un interrogatorio per la strage di Piazza Fontana, in circostanze mai del tutto chiarite. Si scoprirà dopo che il commissario non sarebbe stato nemmeno presente nella stanza in quel momento. In quei giorni su diversi muri si leggeva ‘Calabresi assassino’ e Lotta Continua aveva pronunciato queste parole: “Questo marine dalla finestra facile dovrà rispondere di tutto. Gli siamo alle costole, ormai, ed è inutile che si dibatta come un bufalo inferocito [...] Qualcuno potrebbe esigere la denuncia di Calabresi per falso in atto pubblico. Noi, che più modestamente di questi nemici del popolo vogliamo la morte". Quella mattina di 50 anni fa, Calabresi si stava dirigendo in questura. Da un un'auto in sosta scese un uomo, gli si avvicinò e sparò due colpi di pistola - uno alla testa e uno alla schiena - prima di fuggire a bordo di una Fiat 125 dove lo attendeva un complice. Il giorno dopo, in un articolo su Lotta Continua si leggeva: “L'omicidio politico non è certo l'arma decisiva per l'emancipazione delle masse dal dominio capitalista così come l'azione armata clandestina non è certo la forma decisiva della lotta di classe nella fase che attraversiamo: ma queste considerazioni non possono assolutamente indurci a deplorare l'uccisione di Calabresi, un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia''.

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Il processo

Quando morì, Calabresi aveva 34 anni, due figli piccoli e la moglie era incinta del terzo. Ai suoi funerali parteciparono 200mila persone, ma per anni le indagini sull’omicidio non portarono a nulla. La svolta arrivò solo nel 1988 quando Leonardo Marino, ex militante di Lotta Continua, confessò di aver partecipato all’assassinio e fece i nomi di altre persone. Il 28 luglio del 1988 fu quindi arrestato insieme a Ovidio Bompressi, descritto come l'esecutore dell'omicidio, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri. Il processo fu lungo e complicato: il primo grado si concluse con la condanna di tutti e quattro gli imputati, che venne confermata in appello ma annullata con rinvio dalla Cassazione. A un’assoluzione si arrivò anche al termine del secondo appello, ma di nuovo la Cassazione annullò la sentenza e si celebrò un nuovo processo, che si concluse con una condanna per tutti tranne che per Marino, per cui era scattata la prescrizione. Nonostante le numerose richieste di revisione, il processo non è stato riaperto. Sofri ha scontato la pena, a Boncompressi è stata concessa la grazia nei primi anni Duemila mente Pietrostefani si è rifugiato in Francia. Di lui si è tornati a parlare il 28 aprile 2021, quando venne arrestato nell’ambito dell’operazione "Ombre rosse" insieme ad altri ex terroristi. In quell’occasione, la vedova del commissario Calabresi disse: “Non voglio illudermi, ma penso che sarebbe il momento giusto per restituire un po' di verità. Sarebbe importante che a questo punto delle loro vite trovassero finalmente un po' di coraggio per darci quei tasselli mancanti al puzzle. Io ho fatto il mio cammino e li ho perdonati e sono in pace. Adesso sarebbe il loro turno”. Parole che sono state ribadite dal figlio Mario, ex direttore de La Repubblica, anche pochi giorni fa alla Camera, in una cerimonia per le vittime di terrorismo. "Se tanto è stato fatto, come nel nostro caso e in altri abbiamo avuto il conforto della Giustizia dello Stato, alcune tessere del mosaico ancora mancano. Molti degli uomini e delle donne che hanno ucciso, che hanno aiutato ad organizzare, che hanno sostenuto, fiancheggiato e che sanno, sono ancora tra noi. Da mezzo secolo, però si sono rifugiati nel silenzio, un silenzio che è omertà". Domani, mercoledì 18 maggio, è in programma davanti alla Corte d’Appello di Parigi, la nuova udienza per l'estradizione di Pietrostefani, che oggi ha 79 anni.

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