Uscito dal carcere il 31 maggio per fine pena, in un’intervista di 5 anni fa a Zek e Arte France - ripresa con un filmato inedito dai siti del Corriere della Sera e dalla Stampa - diceva: “Spero solo di essere capito. Ho cercato (in questi anni da collaboratore di giustizia) di dare il mio contributo, il più possibile. Nel nostro Paese chi collabora con la giustizia viene sempre denigrato”. E definisce Cosa Nostra “una catena di morte, una fabbrica di morte”
"Ho riflettuto e ho deciso di rilasciare questa intervista: non so dove mi porta, cosa succederà, spero solo di essere capito”. Inizia così l’intervista che Giovanni Brusca - ex mafioso e ora collaboratore di giustizia che si è autoaccusato di aver premuto il telecomando che fece esplodere il tritolo nella strage di Capaci (LA STORIA) - ha rilasciato a Zek e Arte France 5 anni fa, pubblicata col video inedito dai siti del Corriere della Sera e dalla Stampa. Brusca, scarcerato il 31 maggio per fine pena, con il volto coperto e dei guanti bianchi spiega: “Ho deciso (di farlo) per fare i conti con me stesso, perché è arrivato il momento di metterci la faccia, anche se non posso per motivi di sicurezza, ma è nello spirito e nell'anima [che è nata l'intenzione] di farlo. Di poter chiedere scusa, perdono, a tutti i familiari delle vittime, a cui ho creato tanto dolore e tanto dispiacere".
“Chi collabora con la giustizia viene sempre denigrato”
"Ho cercato (in questi anni da collaboratore di giustizia) - dice Brusca nel video - di dare il mio contributo, il più possibile, e dare un minimo di spiegazione ai tanti che cercano verità e giustizia. E chiedo scusa principalmente a mio figlio e a mia moglie, che per causa mia hanno sofferto e stanno pagando anche indirettamente quelle che sono state le mie scelte di vita: prima da mafioso, poi da collaboratore di giustizia, perché purtroppo nel nostro Paese chi collabora con la giustizia viene sempre denigrato, viene sempre disprezzato, quando invece credo che sia una scelta di vita importantissima, morale, giudiziaria ma soprattutto umana. Perché consente di mettere fine a questo, Cosa Nostra, che io chiamo una catena di morte, una fabbrica di morte, né più né meno. Un'agonia continua".
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Dalla strage di Capaci alla scarcerazione: chi è Giovanni Brusca
Quattro anni in regime di sorveglianza speciale
Brusca, uscito dal carcere dopo 25 anni, è ora per 4 anni sotto regime di sorveglianza speciale con obbligo di firma settimanale e il divieto di spostarsi senza il permesso del servizio centrale di protezione: è ancora un collaboratore di giustizia che testimonia in decine di processi.