Covid, Massimo Galli a Sky TG24: "Il sistema a colori non ha funzionato"

Cronaca

L'infettivologo dell'ospedale Sacco di Milano ha parlato dell'attuale situazione della pandemia da Coronavirus in Italia, definendo negative le riaperture effettuate senza che determinati parametri si fossero consolidati. "Per il momeno non abbiamo una fortissima pressione sugli ospedali - ha aggiunto - ma le indicazioni sono tutte dalla parte del tenere la guardia alzata"

"Il sistema a colori che è stato applicato, con le caratteristiche avute finora, non ha funzionato". Così l'infettivologo dell'ospedale Sacco di Milano, Massimo Galli, ha parlato a Sky TG24 della pandemia di Covid-19 in Italia commentando i dati attuali. Per l'esperto, seppur la situazione negli ospedali non sia ancora al collasso, bisogna "tenere la guardia alzata". Il timore più grande è "che i segnali degli ultimi giorni ci portino a una riaccensione dell'epidemia in maniera netta, e questo sarebbe un importante disastro anche perché andrebbe a interferire sulla campagna vaccinale e la renderebbe più difficoltosa" (GLI AGGIORNAMENTI IN DIRETTA - LO SPECIALE).

"Riaperture senza aver consolidato i parametri"

Alla domanda sul perché attualmente in Italia si abbiano dati ancora alti sull'andamento della pandemia, Galli ha spiegato che "il sistema a colori, con le caratteristiche avute finora, non ha funzionato" per "questa concezione, che poi diventava quasi automatica, delle riaperture se venivano raggiunti determinati parametri prima che questi si consolidassero". Il risultato, secondo l'infettivologo, è che, prima e dopo le feste, si è determinata una situazione per cui quello che stava cominciando significativamente a scendere ha cessato di calare e ha iniziato a risalire. "Quindi il sistema a colori non ha funzionato - ha ripetuto Galli - c’è poco da dire. Tanto è vero che adesso, rispetto ai famosi parametri, si sta tornando a considerare rischioso un RT che in precedenza invece consentiva di fare determinate aperture. Ma così non si consolidano i fenomeni a noi favrevoli e continueremo ad avere la situazione che abbiamo avuto in tutto questo periodo".

Navigli area in Milan, Italy,  during the second wave of the Covid-19 coronavirus epidemic, November 14, 2020. Lombardy is in the red zone with the highest level of restrictions. ANSA / MATTEO CORNER

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"Tenere alta la guardia"

"Le cose si sono stabilizzate in una situazione in negativo - ha affermato Massimo Galli - con degli annunci di qualcosa che potrebbe anche essere peggio. Per il momento non abbiamo una fortissima pressione sugli ospedali, però le indicazioni sono tutte dalla parte del tenere la guardia alzata, continuare a tenere i reparti organizzati in questo modo perché ci possiamo aspettare eventi da dover gestire nei prossimi giorni con la dovuta necessità di cautela e di efficienza".

Foto Claudio Furlan - LaPresse 
09 Novembre 2020 Milano (Italia) 
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Area tamponi  per i pazienti covid allestita dal’ Esercito in Via Novara
Nella foto: operatori sanitari effettuano i test

Photo Claudio Furlan - LaPresse
06 November 2020 Milan (Italy)
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Swab area for Covid patients set up by the Army in Via Novara
In the photo: health workers carry out tests

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Flessione del numero di tamponi e i limiti di quelli rapidi

Riguardo ai tamponi effettuati, l'infettivologo ha sottolineato che c'è stata, ultimamente, un'oggettiva flessione. "Dovremmo considerare la possibilità di andare ad applicare dei programmi ‘alla cinese’: fanno molti tamponi rapidi, ma li fanno a milioni di persone. In determinate aree facilita a circoscrivere certi fenomeni - ha evidenziato - e facilita conseguentemente la possibilità che determinate realtà lavorative e di studio possano rimanere aperte. Altrimenti si chiude tutto e si cerca di avere le vaccinazioni, ma con i ritmi di arrivo attuali del vaccino non è immediatamente garantita". I tamponi rapidi di massa, per Galli, sono utili in determinate situazioni, anche se hanno alcuni pregi e alcuni limiti: "I pregi sono quelli dell’immediatezza e dei grandi numeri, i limiti sono quelli della minore sensibilità, ma in una serie di situazioni interessa più il numero della sensibilità. Se per far bene non si fa abbastanza è peggio". Sul fatto che i tamponi rapidi vengano conteggiati nei dati “sono d’accordo con riserva, se il dato è fornito scorporato si capisce cosa significa, se si mette tutto nel calderone rischia di essere un modo per far pensare che ci siano state delle flessioni rispetto al passato e crea confusione. Va bene che siano computati, l’importante è che si dica quanti sono gli uni e gli altri, di modo che i numeri continuino ad essere trasparenti”.

Un operatore sanitario si sottopone al tampone antigenico rapido presso la tensostruttura realizzata dal Policlino Gemelli per effettare tamponi a tutto il personale e consentire l individuazione di potenziali casi positivi asintomatici. Il protocollo prevede l introduzione di 4 livelli di monitoraggio periodico, ogni giorno possono essere effettuati fino a 550 tamponi, Roma 12 novembre 2020.  ANSA / FABIO FRUSTACI

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No alla vaccinazione delle persone guarite dal Covid

Riguardo alla domanda se le persone che hanno già avuto il Covid vadano vaccinate, Massimo Galli ha risposto: “Fermamente no. È una decisione di comodo farlo, non c’è uno straccio di dato che dica che in quelli che hanno già fatto l’infezione sia sicuro e utile vaccinare. La probabilità di avere una seconda infezione, dai dati che ci sono, anche se abbastanza frammentari, è forse meno dell’1%. Oggi non abbiamo nessuna necessità di vaccinare quelli che si sono già infettati e sono guariti. Non sono noccioline, in Italia almeno due milioni di persone hanno questo tipo di situazione e lo sanno, forse altrettanti la hanno e non lo sanno. Almeno quelli che lo sanno francamente non li vaccinerei ora". Preoccupazione è stata espressa sulla possibile diffusione della variante inglese di Covid-19 anche se "forse ci è andata bene perché i nostri sforzi fino ad ora, per quanto non coronati da completo successo, sono stati certamente migliori ai fini del contenimento dell’infezione di quanto fatto dalla Gran Bretagna, dove da diversi giorni sono oltre i 50mila casi. Sono talmente alla canna del gas che hanno deciso di fare soltanto la prima dose del vaccino Pfizer, per coprire più persone possibile, ma è come buttare via il bambino con l’acqua sporca. Non ci sono dati, è un razionamento da tempo di guerra".

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Due strade per la riapertura delle scuole

Sulla scuola, l'infettivologo ritiene che “il discorso trasporti, che è un discorso cardine, realisticamente non riusciremo a gestirlo in sicurezza. I progressi fatti sono piuttosto ridotti". Per riaprire le scuole, quindi, ci sarebbero “due vie: tentare una diagnostica estesa per l’identificazione rapida di eventuali problemi in ambito scolastico e rendere il più rapida possibile la vaccinazione perlomeno degli insegnanti e del personale, per poi ragionare anche sui ragazzi. Purtroppo il vaccino si può fare dai 16 anni in su". Rispondendo alla domanda se vaccinerebbe anche i ragazzi più giovani, Galli ha detto: “Appena fosse possibile, perbacco sì. Più si è giovani e meno facilmente ci si infetta e ci si ammala gravemente, però il pool dei giovani, dei bambini e anche dei piccolissimi, che hanno molte interazioni sociali tra di loro, è un serbatoio importante per l'infezione di tutto il resto della popolazione e dei più anziani. In Italia si è discusso per anni se vaccinare i bambini per l'influenza e ci si è arrivati solo quest'anno, mentre in altri Paesi lo si fa da tempo”.

La ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina in occasione della conferenza stampa a Palazzo Chigi sull'avvio dell'anno scolastico, Roma, 9 settembre 2020. Conte ha confermato che il ritorno in classe degli studenti a scuola è fissato regolarmente il 14 settembre dopo circa 6 mesi di chiusura delle aule a causa dell'emergenza sanitaria. ANSA/POOL/ROBERTO MONALDO

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Fare una chiusura importante

In generale, riguardo la situazione in Italia, "l'utopia personale" di Galli è che" si possa fare in parallelo un momento di chiusura importante, ben pesato, accompagnato da un’estesa campagna vaccinale in un periodo concentrato e da un utilizzo esteso della diagnostica applicata alle varie realtà in cui comunque le persone si concentrano per lavoro o studio. Questa ricetta l’ho definita ‘personale utopia’ perché mi rendo conto che nelle condizioni in cui versiamo diventa difficile veder realizzato tutto questo assieme”.

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