Influencer virtuali generati con l’intelligenza artificiale, storia e impatto sul settore
TecnologiaSecondo il Financial Times gli influencer in carne ed ossa temono che le loro controparti virtuali, generate con l’intelligenza artificiale, possano mettere in pericolo il loro business. Ecco che cosa sta accadendo nel mercato, tra nuove opportunità e criticità sollevate
Tra i molti settori che sono chiamati - o lo saranno presto - a fare i conti con l’intelligenza artificiale, ce n’è uno che molti potrebbero non immaginare: quello degli influencer. L’ultimo caso salito agli onori delle cronache è quello di Emily Pellegrini, oltre 160mila follower su Instagram, che secondo quanto rivelato dal Daily Mail e ripreso da testate quali La Repubblica e Corriere della Sera sarebbe in realtà generata dall’intelligenza artificiale. E non solo attrarrebbe diverse persone ricche e famose, ma avrebbe anche generato entrate di migliaia di dollari per la creatrice. Si tratta però solo dell’ultimo caso di un trend che sembra in crescita: poche settimane fa vi abbiamo raccontato di Aitana Lopez, oltre 250mila follower, creata con l’IA dall’agenzia The Clueless. E, secondo il Financial Times, l’arrivo di queste figure starebbe spaventando gli influencer in carne e ossa, le cui entrate potrebbero essere messe in pericolo dai rivali digitali.
La storia dei “virtual influencer”
Il fenomeno dei “virtual influencer”, comunque, non è nuovo: come sottolineato da Wired, la prima popstar virtuale è ‘nata’ in Giappone nel 1996. Per creare questo tipo di figure vengono usate diverse tecnologie, dalla computer grafica fino all’intelligenza artificiale. E con il passare del tempo - e lo sviluppo delle capacità tecnologiche - stanno diventando sempre più realistiche e interattive. Secondo quanto riportato da Repubblica, poi, nel 2016 una società di Los Angeles specializzata in robotica ed intelligenza artificiale creò Miquela Sousa: oggi l’account conta 2,6 milioni di follower e negli anni avrebbe collaborato con diverse aziende globali di moda. E negli ultimi anni ci sono state diverse collaborazioni tra marchi di moda e influencer virtuali. Un’analisi condotta da Meta su una campagna di H&M, realizzata anche con un’influencer virtuale, ha mostrato un aumento considerevole del numero di persone che hanno ricordato la campagna e una diminuzione del 91% del costo per persona.
L’impatto dei “virtual influencer” sul mercato
Come detto, l’emersione di questi influencer virtuali ha fatto entrare anche gli influencer umani tra le categorie di persone preoccupate per l’avvento dell’intelligenza artificiale nel loro campo. I creatori di queste figure, però, hanno rivendicato al Financial Times come il loro operato stia semplicemente sconvolgendo un mercato iper-inflazionato. Diana Núñez, co-fondatrice dell’agenzia The Clueless che ha creato Aitana Lopez, ha dichiarato di essere “rimasti sorpresi dalle tariffe stellari richieste dagli influencer, e questo ci ha fatto pensare: perché non ci creiamo il nostro influencer”. Secondo il Financial Times, inoltre, i brand si sono rivolti rapidamente ai “virtual influencer” per ridurre i costi legati a questo tipo di attività.
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Le criticità sollevate sui “virtual influencer”
Esistono però anche delle criticà che sono state sollevate: il quotidiano britannico sottolinea come gli influencer in carne e ossa vorrebbero che le loro controparti virtuali siano obbligate a rivelare che non sono reali. Danae Mercer, content creator umana con oltre 2 milioni di follower, ha detto che “quello che mi fa impazzire è quanto sia difficile capire se sono fake”. E, sottolinea ancora il giornale, sebbene alcuni “virtual influencer” come Aitana segnalino la cosa usando l’hashtag #aimodel, sembra che non tutti seguano la stessa strada. C’è, inoltre, un’altra questione aperta: secondo quanto riportato dal Financial Times alcuni di questi “virtual influencer” - tra cui Aitana - sono stati criticati per essere iper-sessualizzati, apparendo regolarmente in bikini o biancheria intima. L’agenzia The Clueless ha però replicato che la sessualizzazione è “prevalente con reali modelle e influencer”, e che la loro creazione “rispecchia semplicemente pratiche consolidate senza deviare dalle attuali abitudini del settore”. Infine, sottolinea La Repubblica, alcune “virtual influencer” estremamente realistiche imporrebbero uno standard estetico “ancora più irraggiungibile di quello già promosso da tante influencer reali”.