Facebook ritratta e ammette: "Abbiamo indagato su Soros"

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Immagine di archivio (Getty Images)

Dopo le smentite di Zuckerberg e Sandberg, il social spiega di aver scoperto grazie a Definers che l'ungherese finanziava alcuni gruppi dietro la campagna 'Freedom from Facebook'

Facebook si è affidata a una società di ricerca e consulenza per condurre delle indagini riguardanti l’imprenditore ungherese George Soros. Non si tratta più di indiscrezioni, poiché è lo stesso social network ad ammettere in un post pubblicato sul proprio blog ufficiale quanto già anticipato pochi giorni prima dalla lunga inchiesta svolta dal New York Times. Il comunicato è stato firmato dal capo della Comunicazione e Policy dell’azienda Elliot Scharge, e specifica che mentre Facebook aveva avviato i rapporti con Definers Public Affairs già da qualche tempo, la richiesta di indagare su Soros è giunta a causa delle dure dichiarazioni dell’investitore riguardo al social network.

Facebook, il motivo delle indagini su Soros

Nel gennaio 2018, infatti, il filantropo ungherese aveva definito Facebook “una minaccia per la società” all’interno di una serie di dichiarazioni relative al mondo dei social network, che secondo l’imprenditore influenzerebbero il pensiero delle persone. Nella nota firmata da Scharge, la compagnia di Zuckerberg spiega che, non avendo mai sentito prima critiche di questo genere da parte dell’attivista, Facebook “voleva determinare se Soros avesse qualche motivazione finanziaria. Definers ha indagato su questo aspetto, utilizzando informazioni pubbliche”. 

Facebook, retromarcia di Sandberg

Secondo l’inchiesta del New York Times il social avrebbe cercato di collegare il finanziere ad alcuni gruppi di attivisti, al fine di screditare questi movimenti.Tuttavia, la versione non coincide con quella esposta da Scharge sul blog di Facebook. Secondo quanto spiegato dal social network, infatti, Definers indagò con l’obiettivo di capire chi ci fosse dietro quei gruppi che sostenevano la campagna ‘Freedom from Facebook’, ritenuta dai media un’iniziativa popolare. “La società di consulenza scoprì che Soros finanziava diversi membri di questa coalizione - si legge nel comunicato -, e preparò dei documenti da distribuire alla stampa per dimostrare che non si trattava di un movimento partito dal basso e in modo spontaneo”. Il comunicato si conclude poi con un intervento di Sheryl Sandberg, chief operating officer dell’azienda che insieme a Mark Zuckerberg aveva inizialmente preso le distanze da quanto affermato dal Nyt relativamente al ruolo di Definers Public Affairs, che in alcuni documenti diffusi sosteneva che Soros fosse addirittura il fondatore di ‘Freedom from Facebook’. Eppure, in seguito all’ammissione di Scharge, la dirigente spiega ora che al momento dell’inchiesta non ricordava dei rapporti con l’azienda di consulenza, scusandosi per quella che definisce una “distrazione” e sottolineando come “nessuno avesse intenzione di costruire una narrativa antisemita contro George Soros”. Un nuovo capitolo che sembra destinato ad accrescere ulteriormente la pressione su Mark Zuckerberg, che ha recentemente ribadito l’intenzione di non voler lasciare la presidenza di Facebook.

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