La Pulce e CR7 si ritrovano, due anni e mezzo dopo, nei gironi di Champions League. Sarà la prima sfida da quando il portoghese gioca nella Juventus, la trentasettesima in totale. Cosa significa, per il calcio e nel calcio, la rivalità tra i due
Quando si incontreranno domani, nell'ultima sfida del girone di Champions League, saranno passati due anni, sette mesi e due giorni dall’ultima volta. Un lasso di tempo in cui la loro sfida si è appannata, sfuocata, ridimensionata dalla distanza e dall’assenza di un confronto diretto autentico. Tra il 6 maggio 2018 e oggi è successo un po’ di tutto. Cristiano Ronaldo ha cambiato squadra, Messi no, è pure capitato che per una singola, isolatissima edizione del Pallone d’Oro negli ultimi 12 anni, il premio non sia andato a nessuno dei due ma a un terzo incomodo, Luka Modric. Tanto è bastato per paventare la fine del duopolio dispotico che ha condizionato gli ultimi tre lustri scarsi della storia del calcio, per andare a cercare nuovi fenomeni e potenziali eredi, con l’auspicio che facessero una fine migliore di chi, prima di loro, aveva provato a mettere in discussione il primato assoluto di Leo e Cristiano.
Messi riluttante al confronto
Il duello tra la Pulce e CR7 è epica calcistica contemporanea. Un confronto non necessariamente vissuto allo stesso modo da entrambi, cercato quasi ossessivamente dal portoghese, rifuggito per quanto possibile – e certamente indesiderato – dall’argentino. Lo spiega bene Guillem Balague, nell’introduzione al libro che unisce in un unico volume le sue biografie dei due campioni: Cristiano cerca l’attenzione del pubblico, l’amore incondizionato dalla gente, Messi ha capito che è il prezzo da pagare per ottenere l’unico successo che gli interessa, quello sul campo, con e per la sua squadra.
L'extraterrestre e il migliore sulla Terra
La copertina dello stesso libro, Messi Ronaldo, riporta una citazione estrapolata da un articolo di Repubblica: “Uno è un extraterrestre, l’altro il migliore sulla Terra”. È una delle metafore più diffuse per descrivere i due e circoscrivere i confini delle loro differenze. Uno, Messi, sarebbe un essere umano dotato di un talento soprannaturale fin dalla nascita, il nuovo Maradona al netto degli insuccessi con la nazionale, un prescelto che gioca quasi col calembour più facile e scontato che si possa costruire a partire dal suo cognome, aggiungendo semplicemente una a in coda. L’altro, Cristiano, un ragazzo come noi, che ci ha messo tutto se stesso, si spacca di allenamenti da una vita, si è costruito un fisico da droide, e su questa assoluta dedizione ha fondato la sua epopea.
Uno stereotipo in parte vero
Come ogni stereotipo, contiene in sé una parte di verità e allo stesso tempo riduce la realtà ai minimi termini, appiattendola e fermandosi alla superficie. In parte, se vogliamo, è persino una diminutio estremamente democratica, che toglie qualcosa a entrambi, azzera l’enorme talento naturale di cui Cristiano è dotato e che da Funchal, sull’isola di Madeira, l’ha portato prima allo Sporting Lisbona e poi dritto al Manchester United di Alex Ferguson poco più che maggiorenne, e l’enorme lavoro che ha fatto Messi su se stesso, per potenziare i suoi punti di forza e annullare i suoi difetti: basti pensare, per fare un solo esempio, allo specialista che è diventato sui calci piazzati quando a inizio carriera era decisamente carente in quel fondamentale.
Due narrazioni diverse
Eppure, al pari della dicotomia tra l’egoismo del portoghese e l’altruismo dell’argentino, è una visione che in qualche modo sentiamo nostra e che ci viene restituita anche da ciò che sappiamo sull’infanzia dei due. Passata a rincorrere un pallone su una strada in pendenza per Cristiano, vissuta a segnare gol a grappoli guizzando tra ragazzini più grandi e grossi di lui per Leo. Di quella di Messi abbiamo visto tantissimi filmati. Tutti lo ritraggono felice, esprimere già all’epoca il suo calcio fatto di leggerezza e intuizione, un dribbling dopo l’altro, tra tunnel e pallonetti. Naturale, appunto, poco costruito, istintivo. Di quella di Cristiano abbiamo meno video e più racconti mediati, lo immaginiamo sudare e faticare più della piccola Pulce, segnare altrettanto, magari, ma con uno sforzo fisico e mentale in qualche modo superiore. Cristiano, ci raccontano, è andato via da Funchal bambino per cercare la fortuna, scappando da una situazione familiare complicata. Messi, al contrario, è stato sradicato quasi per forza da Rosario, ha pianto per anni nella sua stanza di Barcellona, di nascosto e in silenzio, per non farsi sentire da papà Jorge, l’unico della famiglia che lo avesse accompagnato, il solo di cui potesse non sentire la nostalgia.
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Le differenze in nazionale
Forse anche per questo trauma infantile, Leo vive la nazionale in maniera dolorosa. Lo accusano di essere un pecho frio, un cuore freddo, di non essere abbastanza argentino, gli rinfacciano il peccato originale di essere cresciuto calcisticamente in Spagna, come se poi fosse stata davvero colpa sua se né il Newells né il River accettarono di pagare qualche centinaio di dollari per la cura ormonale che gli avrebbe permesso di crescere. Ma forse la ragione dei suoi fallimenti con la Seleción va cercata in un attaccamento alla maglia che lo consuma da dentro, portandolo a somatizzare una mancanza mai colmata, una distanza digerita tra le lacrime, un paragone più grande di lui col più grande di sempre: Diego Armando Maradona. Cristiano ha certamente un rapporto più sereno col suo Paese e la sua nazionale, non ha mai subito lo stesso tipo di pressione, nessuno gli ha mai chiesto di essere il nuovo Eusebio, a ben vedere nemmeno un altro Figo. Ha sempre giocato libero, di esprimere il proprio talento ma anche di sbagliare e fallire, ha perso una finale europea ancora bambino e ne ha vinto un’altra da motivatore saltante (ed esaltante) ormai adulto. Ha chiuso in qualche modo il suo cerchio, da leader assoluto.
Messi avanti nei confronti diretti
Racconta Balague, nella biografia di Messi, che tra i due non corra buon sangue, o per meglio dire che sia Cristiano a non aver mai amato troppo il collega, arrivando ad apostrofarlo con un epiteto offensivo in inglese all’interno dello spogliatoio del Real Madrid, dove Leo sarebbe stato oggetto di battute e frecciate dettate dal peggior cameratismo di squadra. Su quelle parole scritte da Balague scoppiò la polemica, Cristiano smentì tutto, annunciò azioni legale (mai intentate) contro il giornalista catalano, scrisse un post su Facebook pieno di indignazione. Qualche giorno dopo, in un’amichevole tra nazionali all’Old Trafford, incontrò Leo, finì 1-0 per il Portogallo, nessuno dei due segnò. Era il 18 novembre 2014, all’apice della rivalità tra i due, l’ennesimo confronto di una serie che statisticamente ha premiato più la Pulce che CR7 (16 vittorie e 22 gol contro 10 vittorie 19 reti, 14 a 7 solo per quanto riguarda i match tra Barça e Real Madrid) e che ha vissuto il suo culmine in Europa nella finale di Roma 2009 (2-0 per il Barcellona sul Manchester United, con gol di testa della Pulce) e nella doppia semifinale del 2011 (ancora una volta Barça, con un 2-0 all’andata al Santiago Bernabéu firmato integralmente da Messi). Cristiano, in Champions, non ha mai segnato contro l’argentino.
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Anche a Messi manca Cristiano, a noi mancheranno loro
L’idea più semplice da farsi è che il distacco forzato potesse fare più male a Cristiano, che del confronto col collega ha fatto benzina per diventare ciò che è, eppure anche Messi sembra averne risentito. La sua ultima stagione è stata normale, fin troppo per uno che di normale non ha nulla, e il quasi strappo che in estate sembrava doverlo portare lontano da Barcellona appare come il sintomo di un malessere cominciato proprio dopo l’addio di Ronaldo al Real. Da quando il portoghese non gioca più in Spagna, Messi non ha più segnato nel Clásico: potrebbe trattarsi di una coincidenza o forse no. Di certo questo nuovo rendez-vous sarà occasione per il revival di una sfida che probabilmente non ha precedenti nella storia del calcio, e che forse non avrà eguali in futuro. Un incontro da vivere e gustare come se fosse l’ultimo, perché l’ultimo potrebbe essere. Poi toccherà abituarsi a un calcio senza quei due, un calcio diverso, che un tempo conoscevamo, ma che forse ormai abbiamo dimenticato.