Mondiali di calcio femminili, Rapinoe non canta l'inno americano: ira di Trump

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Il gesto prima degli ottavi di finale tra Usa e Spagna, poi il botta e risposta con il presidente. La giocatrice fa sapere che "se vinciamo i Mondiali non andrò alla Casa Bianca", il tycoon replica su Twitter: "Porti rispetto al Paese e alla nostra bandiera"

Megan Rapinoe, capitana degli Stati Uniti ai Mondiali di calcio femminili, boicotta l'inno nazionale prima dell'ottavo di finale contro la Spagna e sfida così il presidente americano Donald Trump davanti a tutto il mondo. Poi annuncia che in caso di vittoria ai Mondiali, se la squadra dovesse essere invitata, non andrà alla Casa Bianca. Il gesto della calciatrice ha subito provocato l’ira di Trump, che ha commentato: "Penso che il suo atteggiamento non sia appropriato”, ha detto il tycoon. Il presidente si è detto disturbato dalle immagini che mostrano la campionessa con le labbra serrate durante l’inno prima della partita con la Spagna. Successivamente, Trump ha affidato, come spesso accade, le sue reazioni a Twitter: "Prima dovrebbe vincere e poi parlare. Non l'abbiamo neanche ancora invitata. Megan non dovrebbe mancare di rispetto al nostro paese, alla Casa Bianca e alla nostra bandiera", di cui "dovrebbe essere orgogliosa", scrive il tycoon, che aggiunge: “Sia orgogliosa della bandiera che indossa".

Rapinoe e la sua opposizione a Trump

Rapinoe è famosa per la sua opposizione al presidente americano: è apertamente gay e si definisce una "walking protest" in difesa dei diritti e contro le diseguaglianze, oltre a essere una paladina della “pay equality”, l’uguaglianza salariale di genere nello sport.

Le proteste contro Trump sbarcano sui campi di calcio

Il botta e risposta tra Rapinoe e Trump segna lo sbarco della protesta contro il presidente sui campi di calcio dopo aver invaso e travolto quelli del football americano. Il primo gesto simbolico è avvenuto nella Nfl nel 2016 con Colin Kaepernick, quarterback dei San Francisco 49ers, che si è inginocchiato per la prima volta durante l'inno manifestando così contro il razzismo e la brutalità della polizia verso i neri. A seguirlo nella Nfl sono stati in tanti, compagni di squadra e non. Ma la campagna #taketheknee ben presto è dilagata anche in altri sport, facendo proseliti tra star del basket come LeBron James o Stephen Curry e tra idoli del mondo dello spettacolo come Stevie Wonder.  La protesta si è scontrata con la furia di Trump che ha attaccato duramente i manager della Nfl e i giocatori, senza risparmiare Nike. Il colosso dell'abbigliamento sportivo infatti ha scelto Kaepernick come suo testimonial inviando così, è stata la tesi del presidente, un "messaggio terribile".

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