1994, la serie tv raccontata dagli sceneggiatori

Serie TV

Paolo Nizza

In attesa degli episodi 3 e 4 di 1994, gli sceneggiatori Ludovica Rampoldi, Alessandro Fabbri e Stefano Sardo ci svelano i dietro le quinte della serie

“Ma accorgersi che si era capaci di inventare qualcosa; di creare con abbastanza verità da esser contenti di leggere ciò che si era creato; e di farlo ogni giorno che si lavorava, era qualcosa che procurava una gioia maggiore di quante ne avessi mai conosciute.” Sono parole scritte da Ernest Hemingway, tratte da quel capolavoro che è “Addio alle armi”. Ed è quello che ho percepito nell’incontrare Ludovica Rampoldi, Alessandro Fabbri e Stefano Sardo, gli sceneggiatori della serie 1994. Nelle loro voci, nei loro sguardi, nei loro gesti, avverto tutta la passione per la scrittura, l’entusiasmo di trasfigurare in una battuta, in un dialogo un intero mondo, un’epoca, un personaggio. Ludovica e Stefano si sono conosciuti nel 2002, in una scuola di sceneggiatura. Alessandro è arrivato nel 2005. Insieme rappresentano una “gioiosa macchina da guerra” per usare una definizione coniata da Achille Occhetto, protagonista del primo episodio di 1994. Si capisce subito che sono un terzetto assemblato alla perfezione. Come in un concerto, ognuno suona il proprio strumento, ma si completano a vicenda. La loro quotidiana presenza sul set si è rivelata efficace e fondamentale per la riuscita di questa ultima stagione che è forse la migliore delle tre. Tra una colonna sonora azzeccatissima, scene emotivamente complesse da scrivere (come quella con Luca Zingaretti nella parte di Paolo Mieli, padre di Lorenzo, uno dei produttori della serie) e contributi da parte degli attori, Ludovica, Alessandro e Stefano ci raccontano i dietro le quinte di 1994

 

C’è stato un approccio diverso in questo ultimo capitolo della trilogia?

Ludovica Rampoldi:

“Sì. Cogliendo un input ricevuto da Wilde Side e Sky, abbiamo alzato l’asticella delle ambizioni, quindi rivoluzionato la modalità di racconto che avevamo tracciato. Invece di muoverci in quel solco, abbiamo deciso di cambiare strada creando delle puntate che fossero quasi un unicum tra di loro. Ovviamente gli episodi non possono essere visti singolarmente perché portano avanti l’arco dei personaggi, tuttavia ogni puntata è caratterizzata da un protagonista o focalizzata su un singolo evento con uno specifico tono, una particolare visione. Procedendo in questo modo abbiamo anche ritrovato quello spirito presente in 1992, quel desiderio di mischiare diversi registri. Per esempio nel quinto episodio, Viale del Tramonto incontra Weekend con il Morto. Insieme a una citazione di La Terra Desolata di Eliot c’è Umberto Smaila che suona il pianoforte. Il tutto ripreso con le lenti anamorfiche, in una sorta di omaggio alla Hollywood dei tempi d’oro. La prima puntata invece è claustrofobica, una specie di thriller alla De Palma, tutto giocato all’interno di uno studio televisivo. Insomma abbiamo ripreso quello spirito divertito, assente in 1993 vista la gravità degli eventi narrati in quella stagione. In 1994 ci siamo, quindi divertiti a trasformare ogni episodio in un’isola di un arcipelago.”

 

Quanto è stato importante stare sul set durante le riprese?

Alessandro Fabbri:

“E’sempre stato vitale. In fondo è il trademark di questa serie. Quando abbiamo iniziato era inusuale e lo è ancora in parte. E’ una prassi utilizzata dagli showrunner americani. Mettere in contatto quotidiano le teste degli sceneggiatori con gli altri reparti, in primis con il regista e gli attori, permette anche alla scrittura di crescere e svilupparsi in corso d’opera. Insomma è molto diverso scrivere una sceneggiatura e lasciare la propria creatura a qualcun altro, invece di seguirla sino in fondo. Spesso ti viene la voglia di modificare lo script, seguendo i suggerimenti degli attori, carpendo il loro stile.

Trovo che le musiche siano fantastiche e azzeccate. Quasi una sorta di personaggio aggiuntivo

 

Stefano Sardo:

“Il nostro lavoro ha travalicato il mero atto di scrivere. Quando lavori su una serie, non inventi solo una trama, ma crei un mondo che ha un tono, un sistema di personaggi e direi anche un’ambizione estetica. Per raccontare questa epoca in questa serie abbiamo fatto una scelta di campo forte. Tant’è che quando andò in onda 1992, in molti si sono sentiti oltraggiati perché avevamo rotto la liturgia della Storia. Anni e anni di fiction in cui quando venivano raccontati i fatti storici ci si atteneva alla ricostruzione giornalistica degli eventi. Noi, invece abbiamo avuto un approccio spericolato, inserendo personaggi inventati, mescolando l’alto con il basso. Avevamo anche il mandato estetico di realizzare una visione stilistica degli anni Novanta che nel 2011 quando abbiamo iniziato a lavorare su 1992 non erano stati ancora formalizzati perché considerati troppo vicini. E uno degli elementi chiave è stato trovare canzoni per ricostruire nella memoria inconscia dello spettatore la nostalgia per quei momenti. Insieme alla politica e alla cronaca bisognava evocare il sentimento struggente di un tempo andato. E con 1994 siamo stati particolarmente fortunati. Molti siti, infatti, lo considerano uno dei migliori anni nella storia della musica. Prima di scrivere le sceneggiature di tutte e 3 le stagioni, sentivamo le canzoni di quello specifico anno. In questo senso 1994 si apre con il brano A tratti dei CSI, un brano fondamentale per il rock indie italiano. E sempre nel ‘94 esce l’album Catartica dei Marlene Kunz, altra pietra miliare. Infatti nell’episodio 3 ascolterete Nuotando nell’aria. Per cui le parole delle canzoni presenti nella serie sono davvero un contrappunto a ciò che si vede sullo schermo, una sorta di groove che accompagna il tempo scenico.

 

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