Lo scrittore sul palco dell'Ariston per il trentennale delle morti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con un intervento sul ricordo e sull'importanza e il coraggio di scegliere
Il 2022 è l’anno del trentennale delle stragi di via D’Amelio e Capaci e Roberto Saviano sale sul palco del Festival di Sanremo (IL LIVE - LO SPECIALE - LA CLASSIFICA DOPO LA TERZA SERATA) per ricordare Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri che sono caduti combattendo la mafia. Il discorso di Saviano parte dal concetto di ricordo, dall’etimologia della parola, di come ricordare significa riportare al cuore, perché per gli antichi era il cuore la sede del ricordo, di come ricordare Falcone e Borsellino “significa riportarli in vita”. “Alcuni non c’erano ancora quando morirono – dice Saviano - eppure la loro storia è parte della nostra memoria collettiva”.
Simboli di coraggio
Falcone e Borsellino sono “simboli di coraggio”, la loro è “la storia di chi sceglie pur sapendo di rischiare”. Saviano prosegue con il ricordo di Rocco Chinnici, Cesare Terranova, Pietro Scaglione, Antonino Saetta, Rosario Livatino, degli altri caduti della lotta alla mafia. Di chi ha rotto quel silenzio che era l’arma migliore della mafia, quel “silenzio che pensavano sarebbe accaduto anche dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio”.
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LA MACCHINA DEL FANGO
Poi lo scrittore ricorda di come Falcone e Borsellino non siano sempre stati ritenuti gli eroi che giustamente vengono riconosciuti oggi: “Venivano accusati di essere esibizionisti in cerca di popolarità”, generavano “fastidio e diffidenza” nei colleghi, nei giornalisti, nelle persone, fino ad accuse infamanti come quella mossa contro Falcone, sospettato da alcuni di aver inscenato l’attentato all’Addaura per fare carriera. Il fango, altra arma usata dalla mafia per isolarli, che però “non è riuscito a sporcare il loro esempio”, perché “molte persone hanno capito che era possibile fare scelte coraggiose e avere una vita diversa”.
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LA STORIA DI RITA ATRIA
Saviano racconta la storia triste di una di loro, una ragazza di 17 anni, Rita Atria, figlia di un boss mafioso, che “aveva scelto di denunciare ciò che sapeva di quella mafia che le aveva ucciso il padre e il fratello” diventando “la più giovane testimone di giustizia in Italia”. Rita Atria era stata presa sotto l’ala protettrice di Paolo Borsellino, e una settimana dopo la strage di via d’Amelio si tolse la vita per la disperazione di aver perso la sua seconda occasione, quella nuova vita in cui “aveva capito di essere libera, libera di scegliere chi amare, di curare il proprio corpo, di uscire a fare una passeggiata”.
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IL CORAGGIO DI SCEGLIERE
Gli esempi portati da Saviano sono esempi di chi ha avuto la forza di scegliere, perché “ogni volta che noi non scegliamo è perché temiamo di essere attaccati, isolati, abbiamo paura. Ma poi ci accorgiamo che la neutralità non ci tiene affatto in sicurezza. Significa rinunciare alla nostra libertà, alla nostra dignità, al diritto di cercare la nostra felicità”. Poi cita un verso del poeta nicaraguense Ernesto Cardenal: “Credevano di seppellirti, ma quello che hanno fatto è seppellire un seme”. Il seme del coraggio di Falcone e Borsellino, quello piantato anche da Rita Atria.