Bugonia di Lanthimos, Emma Stone e Jesse Plemons tra alieni e complotti. La recensione
CinemaIl regista greco torna in concorso a Venezia con il suo nuovo film, presentato in anteprima mondiale. Remake visionario del cult coreano Save the Green Planet!, fonde satira, thriller e black comedy. Emma Stone è la CEO di una multinazionale rapita da Jesse Plemons e Aidan Delbis, due complottisti convinti sia un’aliena. Il film emerge come un’apocalisse claustrofobica che riflette il presente tra fake news, paranoia digitale, alienazione sociale e il mito antico della bugonia
A Venezia 82 (LA DIRETTA) Yorgos Lanthimos non serve un film, ma un cocktail velenoso: Bugonia. Un bicchiere che sa di paranoia e gin freddo, di miele acido e di fake news scrollate sul telefono. È un remake, sì, ma come sempre con Lanthimos il termine è inadeguato: prende Save the Green Planet! e lo trasforma in un incubo da camera, un esperimento sociale che diventa parabola del nostro tempo.
Due complottisti rapiscono Michelle Fuller (Emma Stone), CEO di una multinazionale farmaceutica. La credono un’aliena, la incatenano in un seminterrato, e la tortura diventa rito, farsa, tragedia. Sul tavolo restano resti di verità e bugie, come bicchieri mezzi vuoti dopo una notte troppo lunga.
Emma Stone, business woman da copertina
Emma Stone è la donna dell’anno. Saint Laurent, occhiali neri, tacchi Louboutin. È una business woman da copertina che trasforma il SUV Mercedes in astronave aziendale. Concedere ai dipendenti di uscire alle 17:30? Certo. Ma tanto “c’è sempre altro da fare”.
Per interpretarla si è rasata i capelli davvero. E in quell’atto c’è tutta la forza di un’attrice che può fare qualunque cosa con la sua voce proteiforme, con un talento che pare inusitato. Michelle è aliena non perché viene da un altro pianeta, ma perché incarna un potere che divora tutto, lasciando intorno solo macerie.
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Jesse Plemons, dolente e radicale
Accanto a lei Jesse Plemons, talmente bravo da rendere umano un personaggio quasi disumano. Il suo Teddy è drammatico, dolente, credibile fino in fondo. È l’uomo che si è castrato chimicamente pur di non cedere alle lusinghe erotiche della presunta aliena che ha rapito. Un gesto estremo, che racconta più della sua follia di mille battute.
Plemons riesce a restituire l’assurdo e la tragedia insieme: un clown tragico che gioca alla fine del mondo.
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Il cuore fragile di Don
E poi c’è l’esordiente Aidan Delbis: timido, fragile, vestito con gli abiti troppo grandi del padre di Teddy. È il cuore empatico del film, quello che tiene viva una fiammella di umanità in un seminterrato che odora di muffa e disperazione. Gli allenamenti improvvisati con il cugino per prepararsi al rapimento sono ridicoli e derelitti, ma proprio per questo commoventi.
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Bugonia: mito e allegoria
Il titolo porta con sé un mito antico, raccontato da Virgilio nelle Georgiche: dalle carcasse di un bue sacrificato nascevano sciami di api. È la bugonia, la nascita dal marciume. Lanthimos lo rovescia: qui le api spariscono, l’ape regina divora tutto, e i fiori non si trovano più. È una metafora cupa e lucidissima del nostro presente: tra social e semafori, tra strade e feed, tutto si riduce a bianco e nero... Mai un dubbio. O con noi o contro di noi.
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Estetica claustrofobica e apocalittica
La fotografia in VistaVision di Robbie Ryan ingigantisce i volti fino a renderli statue. La scenografia di James Price, la casa di Teddy, è un museo anni ’90 fossilizzato nel tempo. La musica di Jerskin Fendrix, nata da quattro parole chiave suggerite dal regista, è roboante, disturbante, adolescenziale: un’epopea apocalittica che accompagna torture e crolli.
Un contrasto memorabile: le urla si intrecciano con i Green Day di Basket Case, e i titoli di coda esplodono su Where Have All the Flowers Gone? cantata da Marlene Dietrich. Una beffa crudele, un brindisi al tramonto dell’umanità.
Il futuro è adesso
“Gran parte della distopia riflette il mondo reale”, ha detto Lanthimos in conferenza stampa. “Non è un futuro, è ciò che accade adesso. Spero che Bugonia faccia riflettere le persone”.
Emma Stone ha parlato del lavoro con il regista come di un ambiente sicuro: “Posso esplorare parti di me che non conoscevo, in una storia che riflette la società in modo affascinante e divertente”.
Plemons ha definito Teddy “un’anima in pena che voleva solo aiutare”.
Una commedia nera del presente
Alla fine Bugonia è tutto questo: commedia nera, thriller paranoico, tragedia politica e parabola esistenziale. È un film che ti fa ridere e tremare nello stesso istante, che ti rapisce insieme ai suoi personaggi e ti chiude nel seminterrato con loro.
Un’apocalisse da camera, uno specchio deformato e deformante di ciò che viviamo ogni giorno: complotti, fake news, alienazione digitale. Lanthimos conferma di essere uno dei registi più radicali e necessari del nostro tempo.