Killers of the Flower Moon, una tragedia americana. La recensione del film
CinemaTratto dal libro “Gli assassini della terra rossa scritto da David Grann e ispirato a fatti realmente accaduti, arriva al cinema dal 19 ottobre, il nuovo lungometraggio del regista italoamericano. Interpretato da Leonardo Di Caprio, Robert De Niro, Jesse Plemons e dalla rivelazione Lily Gladstone, un viaggio nel cuore di tenebra degli Stati Uniti, tra avidità, massacri, razzismo e oro nero
L’America è nata nelle strade. Quelle disperate di Five Points e quelle brulicanti di Little Italy. Ma dopo Mean Streets e Gangs of New York, Martin Scorsese sceglie di raccontare le vie lastricate di sangue dell'Oklahoma degli anni Venti con Killers of The Flower Moon. Al cinema dal 19 ottobre, il regista italoamericano, al netto degli ottant’anni mette al tappeto come Toro Scatenato i tanti velleitari, imberbi cineasti, incapaci di raccontare il passato per spiegare il presente. Con un colpo di geno ribalta la prospettiva del pur validissimo libro Gli assassini della Terra Rossa: Affari, petrolio, omicidi e la nascita dell'FBI. Una Storia di frontiera (Killers of the Flower Moon: The Osage Murders and the Birth of the FBI), vergato con maestria assoluta da David Grann. Uno dei migliori saggi mai pubblicati negli ultimi anni. Ma la pagina scritta non è un’immagine in movimento. Sicché intrepido e talentuoso come sempre, il regista di Taxi Driver riporta alla luce una tragedia americana colpevolmente dimenticata con la forza della cinepresa. Senza retorica e ammiccamenti squarcia il velo di Maya, con la potenza della settima arte. E in fondo, non è così importante che non gli piacciano i supereroi sul grande schermo.
Petrolio, Buick. Killer e FBI
Nell'incipit di “Killers of The Flower Moon”, la fortuna sorride alla nazione Osage, di nativi americani di lingua siouan. Quel forzoso trasferimento nei territori dell’Oklahoma, si trasfigura in un autentico jackpot. Il sottosuolo sprizza oro nero come le bollicine dell’acqua Perrier. Il petrolio è un’epifania di privilegi e benessere. Gli Osage giocano a golf, attraversano le nuvole con aerei privati e viaggiano su dispendiose Buick. Insomma, sono davvero ruggenti questi anni Venti per un popolo vessato. Ma come insegna il bizzarro eppure, veritiero doppiaggio italiano di tanti western made in Hollywood, “l’uomo bianco parla lingua biforcuta”. L’improvviso benessere di questi nativi americani attira l’interesse dei bianchi che iniziano a manipolare, estorcere e sottrarre con l’inganno i beni degli Osage fino a ricorrere all’omicidio. Per il governo americano le ricchezze dei nativi americani devono essere gestite da tutori bianchi. Quindi basta sposare le donne del luogo e successivamente trovare un modo per eliminarle ed ereditarne tutte le proprietà. Ma a un certo punto la nascente FBI decide di fare chiarezza sul caso.
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Ribaltare la prospettiva
Poteva essere l’ennesimo, magniloquente kolossal sul cavaliere bianco senza macchia e senza paura che salva capra e cavoli catapultato in un altro mondo. E probabilmente, Killers of the flower moon non sarebbe stato un brutto film, visto il calibro del regista. Tuttavia, Scorsese che mangia pane e cinema da tempi in cui voleva farsi prete, ribalta la prospettiva della virtuosa pagina scritta. La nascita e i primi successi del FBI incarnati dal ranger texano Thomas Bruce White stuzzicano ma non funzionerebbero trasfigurati in lungometraggio. L’idea, invece di raccontare una tragedia dimenticata attraverso gli occhi dei nativi risulta più rivoluzionaria e sfidante, E invece dell’eroe abbiamo un reduce della prima guerra mondiale. (Leonardo Di Caprio). Un uomo senza qualità che una ferita ha reso inabile ai lavori pesanti, non tanto intelligente da risolvere il cruciverba di Bartezzaghi, epperò dotato dell’occhio ceruleo e e malandrino quanto quello un coyote a caccia nel deserto.
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Addio bravi ragazzi
I Good Fellas non abitano qui. I bravi ragazzi hanno lasciato stile e fascino tra i denti del pettine e il vasetto di brillantina. Mai Scorsese aveva rappresentato il crimine caucasico con zero appeal. Peggio di quando ordini gli spaghetti alla marinara e ti portano le fettuccine con il ketchup. Tant’è che in Killer of The Flower Moon i balordi bianchi sono protagonisti talvolta di inaspettati intermezzi comici. come nei western classici. D’altronde Sentieri selvaggi abita la cinematografia di Martin sin dai tempi del suo primo lungometraggio. Chi sta bussando alla mia porta (Who's That Knocking at My Door) (1967). Solo che non si tratta di una concessione al politically correct o al controverso spirito del tempo. Il film opta per un’epopea degna di un romanzo di John Steinbeck. Le tre ore e mezza scorrono rapide quanto un treno che viaggia nella notte. Il cinema si riappropria della forza delle sue origini. Killer of the flower moon spara in faccia allo spettatore, parimenti al bandito di The Great Train Robbery (1903)
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Robert De Niro torna re, Leonardo Di Caprio è il fool
Robert De Niro torna per una notte, anzi in questo caso per decenni . Solo che in Killers of the Flowes Moon, allo stand up comedy aspetta in anticamera. Le parole di William Hale, detto the King sono una terrificante sentenza: "amiamo e ammiriamo gli Osage Solo che il loro tempo è finito.” Crudele, cinico e avido, nella realtà, qualche nativo americano si presentò al suo funerale. E Bob con le sfumature tra empatia e ferocia ci va a nozze. (Il Padrino insegna). Di contro, Leonardo Di Caprio, se diretto da Scorsese genera sempre una sinfonia da applausi a scena aperta. In fondo Ernest Burkhart, non è molto diverso da quei ragazzi che Martin frequentava in gioventù, fra sale dal biliardo, vestiti eleganti, in fissa con le donne, inclini al crimine e alieni al lavoro. Infine, Lily Gladstone ha negli occhi, nel portamento, nei gesti, tutta l’eleganza, la possenza e pure la fragilità del suo popolo, così lontano dall’Europa e dagli Stati Uniti. Un puro talento attoriale destinato a successi futuri. Persino i cameo di Brendan Fraser e John Lightow assumono una valenza superiore rispetto ai pochi minuti in cui compaiono nella pellicola. E last but not least, Jesse Plemons resta l’unico attore credibile ed empatico a indossare i panni dell’agente FBI che infine sbroglierà l’intricatissima matassa. Insomma, gli attori, in un film diretto da Martin amplificano il loro talento in maniera esponenziale.
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Scorsese: Tra Boxcar Bertha e la serie Watchmen
Western, noir a sprazzi, persino commedia, Killers of the Flower Moon è il cinema nella sua forma migliore e più emozionante. Scorsese, con le dovute differenze torna alle atmosfere del suo secondo film, ovvero America 1929 - Sterminateli senza pietà (Boxcar Bertha) datato 1971, Ma questa volta in croce ci finisce l’intero popolo degli Osage. E per questo va visto in sala. Quei frammetti dell’antica cerimonia sciamanica “A Pipe for February” che aprono il film, i ritratti in bianco e nero dei nativi americani, i rimandi al massacro di Thulsa, datato 1921 e raccontato dalla serie Watchmen, sono un valore aggiunto a un film unico, eccezionale e sorprendente, Sulle note di un blues che ti squarcia l’anima, una pellicola che ci ricorda che i film possono davvero essere opere d’arte e contemporaneamente un’occasione meravigliosa e gratificante per impiegare il nostro tempo. Quindi, correte in sala, saranno tre ore e mezza davvero ben spese.