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La primavera della mia vita, il film con Colapesce e Dimartino su Sky. La recensione

Cinema

Paolo Nizza

Arriva in prima tv su Sky domenica 6 agosto alle 21.15 su Sky Cinema Due, in streaming su NOW e disponibile on demand, l'esordio cinematografico di del duo musicale. Diretto con stile e maestria da Zavvo Nicolosi, un viaggio scherzoso e metafisico  alla scoperta di una Sicilia inedita e di un’amicizia ritrovata, tra leggende e misteri, impreziosito dai camei di Madame, Roberto Vecchioni, Brunori Sas, Erland Øye e La Comitiva

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Colapesce e Dimartino hanno rifatto Splash. Dopo la canzone presentata a Sanremo e vincitrice del Premio della Critica Mia Martini e del premio della sala stampa, la coppia di cantautori siciliani si è tuffata nel mare magnum del cinema italiano con La Primavera della mia vita. Diretto da Zavvo Nicolosi (regista del videoclip “Musica leggerissima”, Il lungometraggio, arriva in prima tv  domenica 6 agosto alle 21.15 su Sky Cinema Due, in streaming su NOW e disponibile on demand. Colapesce e Dimartino  sono protagonisti del film, autori del soggetto e della sceneggiatura e della colonna sonora originale.

La primavera della mia vita, la trama del film

 

Alla fine, al cinema parimenti alla musica, il problema è non sentire il peso delle aspettative. Perché la vita è un gioco d’azzardo, una partita di baccarat. O più prosaicamente, per citare una battuta del film “un susseguirsi di tasse, rapporti sessuali deludenti e poi muori“ Sicché Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, e Antonio Di Martino affrontano con piglio picaresco e ricchezza frugale questa loro prima avventura sul grande schermo. Una storia semplice (Leonardo Sciascia docet) ma ricca di sorprese. Il duo I metafisici, dopo la fine del proprio sodalizio artistico, si ricompone. Ma all’origine della Réunion non c’è un nuovo progetto musicale. Si tratta invece di attraversare la Sicilia in otto giorni a bordo di un’automobile soprannominata “Lazzaro” per raccontare in un libro le leggende più bizzarre e sorprendenti della regione siciliana. Un lavoro che potrebbe fruttare ad Antonio e Lorenzo novantamila euro esentasse. Ma il tour si trasfigurerà  in un viaggio alla ricerca del tempo perduto, in un buffo trip lisergico, tra mandorli in fiore e risvolti psicanalitici.

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Dai giganti in Sicilia alla teiera più grande del mondo

I gemelli siamesi diversi, la teiera più grande del mondo, la statua di Garibaldi che piange, Sono solo alcune delle meraviglie illustrate in La primavera della mia vita. D’altronde, la Sicilia è un luogo in cui il pensiero magico ha trovato da sempre terreno fertile. La trinacria è il luogo del verosimile. Nel film, quindi, c’è spazio pure per i mitici Lestrigoni, i giganti antropofagi cantati da Omero nell’Odissea, per il pane nero di segale cornuta dagli effetti allucinatori e last but not least, per Guglielmo Scrollalancia, ovvero William Shakespeare che secondo una bislacca teoria sarebbe un drammaturgo italiano nato a Messina ed emigrato a Londra per fuggire dalla Santa Inquisizione. Peraltro, la regione siciliana immaginata da Colapesce e Di Martino ricorda il Texas di True Stories di David Byrne. Insomma, per citare John Ford, “Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”. E tra un "pazzesco" e una visione del "Trionfo della morte", il sublime affresco conservato nelle  Galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo, il vagabondare dei nostri cavbalieri erranti si ammanterà dei colori del mito

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Colapesce  e Dimartino, tra Wenders e Ciccio e Franco

La primavera della mia vita non è un videoclip in versione xxxl, né tantomeno un musicarello riveduto e corretto. Per il proprio esordio cinematografico, il duo musicale opta per un sorprendente road movie che riflette la cifra surreale, ironica malinconica dei testi di Colapesce e Dimartino. Tra echi del cinema di  Wim Wenders, Aki Kaurismaki, AlejandrJodorowskyJohn Landis, Massimo Troisi, ma pure delle gag più surreali dei film di Franco e Ciccio o del Renato Pozzetto di Saxofone, il lungometraggio diverte e intriga. Con la loro recitazione “brechtiana”, la pressoché assenza di gestualità (allora non è vero che tutti gli italiani gesticolano) i cantautori siculi aumentano la sensazione di straniamento e si finisce per credere che la reggia di re Artù sia situata all’interno dell’Etna. Girato in soli 30 giorni, con una fotografia che omaggia gli anni Settanta, il film è un florilegio di Calembour e frizzi linguistiche: dal coro degli albini a Speedy Pizzo, dalle suore sommozzatrici al Siliconista pazzo, sino all’Astice fuggente, il ristorante dove il pesce è così fresco che ti scappa dal piatto. E proprio questa perpetua epifania di lazzi, invenzioni, digressioni rendono il viaggio cinematografico piacevole. Il risultato, quindi è un’opera folle, estrosa, spiazzante in cui convivono un raduno di svalvolati fan dei Doors che si riuniscono in un locale chiamato “L’iguana dei Nebrodi” e gestito da Brunori Sas e l’apparizione di Isabell  Russinova in un duplice ruolo. Così mentre Madame canta la canzone che dà il titolo al film e il professor Roberto Vecchioni spiega le origini italiche del Bardo, viene voglia di perdersi tra le leggende siciliane, magari vestiti come uno dei Bee Gees, e infine "tuffarsi nell’infinità del blu. Splash".

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