Nella biografia Fahreneit-182: A Memoir, il bassista ha raccontato la diagnosi arrivata dopo anni di tentativi di dare un nome ai pensieri e ai comportamenti che lo affliggevano, come le paranoie sui germi
“Il tuo cervello cerca di mangiarsi e di avvelenarsi da solo e a volte, per me, è impossibile fermarlo”. Nella biografia Fahreneit-182: A Memoir, Mark Hoppus, il bassista dei Blink-182, ha raccontato di aver scoperto nel 2008 di soffrire di disturbo ossessivo compulsivo. Per anni aveva cercato di dare un nome ai pensieri e ai comportamenti disturbanti che lo affliggevano, ma non ci era mai riuscito. “Ero diventato intensamente paranoico riguardo ai germi. Ero costantemente preoccupato per la mia salute”, ha raccontato Hoppus nel libro scritto insieme al giornalista Dan Ozzi. L’ossessione per la pulizia lo aveva indotto a lavarsi “ogni volta che stringevo la mano a qualcuno, aprivo una porta o toccavo l’esterno sporco del disinfettante per le mani”. Una volta, durante un tour in Messico, dove gli avevano consigliato di non bere dal rubinetto, aveva addirittura rinunciato per giorni alla doccia, e si era nutrito soltanto con cibo preconfezionato portato da casa nonostante soggiornasse al lussuoso Four Seasons. “Non usavo nemmeno l’acqua del rubinetto per lavarmi i denti”, ha aggiunto.
"HO RIMESSO A POSTO IL MIO MONDO"
Nel libro, Hoppus ripercorre i momenti più importanti della sua vita, inclusi la scoperta del tumore, la rottura con il co-fondatore dei Blink-182 Tom DeLonge e l’incidente aereo del 2008, nel quale il batterista Travis Barker si era salvato, ma due amici erano morti. “Anche la persona più razionale avrebbe difficilmente potuto non pensare che il mondo stesse cospirando per ucciderci tutti”. All’epoca, Hoppus aveva chiesto un parere alla moglie Skye Everly, ma lei lo aveva liquidato: “Ma di cosa stai parlando? Quello che dici non ha senso”. Solo la decisione di rivolgersi a un terapista ha migliorato la situazione. “Lo psichiatra mi ha detto: “Questo è quello che hai”. E io ho pensato: “Be’, ha senso. Ok, ora posso dargli un nome. Ora posso iniziare ad affrontarlo”. Oggi, “ho ancora dei giorni in cui dico a mia moglie: “Sono pazzo a pensare questa cosa, giusto?”. E lei risponde: “Sì. È una cosa ridicola da pensare””. Alla fine, “ci sono voluti farmaci, amici, compagni di band, famiglia e tutto il resto per rimettere a posto il mio mondo”.
