Addio a Carla Fracci, l’ultima intervista rilasciata a Sky Tg24. VIDEO

Spettacolo

Chiara Ribichini

L’étoile, che ha fatto la storia della danza, si è spenta il 27 maggio nella sua casa di Milano. Riportiamo qui l’ultima intervista che aveva rilasciato a Sky Tg24 in cui racconta l’infanzia in campagna, le difficoltà della scuola, l’incontro con Margot Fonteyn e poi con Rudolf Nureyev, l’amicizia con Alda Merini, fino al grande ritorno al Teatro alla Scala dopo un’assenza durata più di vent’anni.

La notizia della scomparsa di Carla Fracci avvenuta nella sua casa di Milano, giovedì 27 maggio 2021, lascia un profondo senso di vuoto. "Un grande vuoto che, allo stesso tempo, ci fa sentire ricolmi e ricchi di tutta la sua storia, che è la storia del balletto, privilegiati per aver condiviso la sua arte che è vita, leggendario modello e fonte di ispirazione di tutte le generazioni di ballerine”, come ha voluto sottolineare il Direttore del Corpo di Ballo Manuel Legris.  

 

Qui di seguito e nel video in testa, l’ultima intervista che l'étoile aveva rilasciato a Sky Tg24.

 

“Ero una contadina, sono cresciuta con le oche, in mezzo alla terra. Non avrei mai immaginato che esistesse un teatro”. E’ iniziata da lì, dalla campagna, la storia di Carla Fracci. Un incipit che evoca uno dei ruoli più rappresentativi della sua carriera: Giselle.

La sua interpretazione della giovane contadina tradita dal nobile Albrecht resta ancora oggi punto di riferimento assoluto per chiunque si accosti a questo balletto simbolo del Romanticismo, nato su libretto del poeta Théophile Gautier. E proprio per preparare il Corpo di Ballo a questo spettacolo, trasmesso in streaming, è tornata al Teatro alla Scala di Milano dopo un’assenza di oltre 20 anni.

Abbiamo incontrato Carla Fracci proprio nel tempio in cui è entrata a soli 10 anni. L’infanzia, il ricordo di Rudolf Nureyev e Margot Fonteyn, l’amicizia con Alda Merini, la famiglia ma anche il difficile momento che stiamo vivendo a causa della pandemia (GLI AGGIORNAMENTI). L’étoile si è raccontata in una lunga intervista.

Lei ha fatto la storia del Teatro alla Scala, è tornata dopo tanto tempo ed è stata accolta da un applauso molto sentito da parte di tutto il Corpo di Ballo in Sala Cecchetti.

“E’ stato molto emozionante, erano più di vent’anni che non entravo in una sala ballo della Scala. Ma... è stato normale, è come se il tempo non si fosse mai interrotto. Ho ritrovato anche Massimo Murru con cui ho ballato l’ultimo balletto qui, Cheri

 

… Costruito per lei..

Per me, sì. Con la Scala non c’è stato nessun bisticcio in realtà. L’uomo è così, è la natura che a volte crea delle difficoltà di comprensione. Ma ho superato tutte le amarezze pensando che sono stata fortunata ad aver cominciato in un tempio d’arte come questo. E tornarci dopo tutti questi anni è stato bello, proprio bello.

 

E’ rientrata alla Scala per preparare il Corpo di Ballo in Giselle. Alla fine è risalita anche sul palco del Piermarini ricevendo gli applausi degli orchestrali in un teatro completamente vuoto. Che effetto le ha fatto?

La mancanza del pubblico è molto grave perché tu quando entri in scena senti la presenza, la simpatia. Un calore che percepisci, ricevi e restituisci. 

Quel giorno mi ha molto sorpresa quell’applauso perché l’orchestra è sempre sulle sue posizioni, i musicisti non si sbilanciano mai troppo. E invece c’è stato questo slancio di affetto inaspettato, li ringrazio molto per questo. Non solo loro. Anche i tecnici che si ricordavano di me e volevano farsi una foto. E i ragazzi giovani, che bello questo seguire con attenzione tutto quello che potevo dire o suggerire loro.

 

Durante la masterclass si è rivolta così a Martina Arduino: “Lascia libero quello che senti, in scena si crea. Un giorno in un modo e un giorno in un altro”. Come si arriva a questa verità sul palco e come si può trasmettere?

E’ difficile da spiegare. E’ qualcosa che un po’ si ha, un po’ si costruisce con gli anni e con le esperienze con coreografi che creano per te. Molto importante è anche l’insegnante. Però ecco,  arrivare a creare in palcoscenico questo non so… E’ fondamentale sentire la musica, ma anche quello che arriva da un gesto, da un semplice sguardo, dal tuo partner. Il gesto sostituisce la parola. C’è sempre un pensiero, niente finisce lì sul passo ma bisogna sempre andare oltre. E ogni ruolo ha una tecnica diversa, uno stile diverso.

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Un altro applauso, sempre qui alla Scala, ma diversi anni fa. Era al termine dello Schiaccianoci, nella complicatissima versione di Nureyev, preparato in soli 5 giorni…

Erano ancora meno di 5 giorni perché al quinto avevamo già lo spettacolo. Io gli dissi: “Rudolf, non lo posso fare, due giorni per prepararlo e il terzo già le prove generali”.

In due giorni mi ha insegnato tutto lui. Passo dopo passo. E’ stato un grande maestro, un grande ballerino, aveva una grande personalità. Amava molto la competizione in scena. Da lui potevi aspettarti di tutto, anche che ti togliesse la mano prima di un equilibrio. A volte mi preparavo per le pirouette e vedevo che lui si fermava in fondo, lontano. Ma poi arrivava, in tempo.

Quello Schiaccianoci fu un successo enorme. E alla fine abbracciandomi mi disse: “Hai visto cosa vuol dire avere coraggio?”.

 

C’è un’altra frase che le rivolse Nureyev, come racconta lei stessa nel libro Passo dopo passo: “Io ho il teatro, tu hai una famiglia”…

Eravamo nel corridoio dei camerini. Gli chiesi: “Domani è il nostro giorno di riposo, dove vai?”. Mi rispose così. E mi raccontò che spesso sognava la madre, in cima a una scala fatta di pane. Lì, ferma, che lo aspettava. Soffriva molto di non poterla vedere (dopo la defezione, ndr), è riuscito a tornare in Russia solo poco prima che lei morisse.

Io ho avuto tanto dalla vita, un figlio meraviglioso (dal marito Beppe Menegatti, ndr) e due nipoti. L’ho voluto un figlio perché ho sempre pensato alla continuazione.

E sono stata fortunata anche perché non ho scelto il lavoro che poi è diventato la mia vita.

 

Come ha iniziato?

Ero una contadina, ho vissuto in campagna, con i nonni e gli zii. Proprio in mezzo alla terra e alle oche. Non pensando che esistesse un teatro.

Poi una signora disse a mia madre: “Questa bambina perché non la iscrivete in un teatro? Perché ha molta grazia e soprattutto molta musicalità”.

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Che ricordo ha dei suoi genitori?

Mio papà era tranviere. Ha fatto la guerra della Russia. Ha sofferto abbastanza.

Alla Scala avevamo la sala Trieste che affacciava qui, sulla piazza. Lui quando passava con il tram scampanellava per salutarmi. Mia mamma era un’operaia. La scuola di ballo all’epoca era gratuita altrimenti non avrei mai potuto frequentarla. Non ne avevamo le possibilità. Mia mamma una volta mi disse: “Tu non potrai portare i fiori alle maestre, non ce lo possiamo permettere. Se ce la fai è grazie alle tue possibilità”. 

 

Però aveva tra i suo avi un nome illustre….

Sì, Giuseppe Verdi. Lui ha sposato in prime nozze una Strepponi. Lui fece un bel regalo in quell’epoca a una zia. Un servizio di caffè che ho a casa perché poi è passato a me.

 

Quando ha capito che il teatro sarebbe stata la sua vita?

Quando ho visto sul palco Margot Fonteyn. Ero una bambina e forse lì mi è scattato qualcosa perché fino ad allora per me la danza era molto faticosa, volevo lasciare. La maestra diceva a mia mamma che avevo delle possibilità ma non mi applicavo. E in effetti era vero. Per me tornare dalla campagna e trovarmi alla sbarra… e insomma il salto è molto grande. Mi sentivo un po’ come in prigione. Poi ho visto Margot… aveva questa linea, questa eleganza, questo sorriso.

Ricordo che alla fine del primo atto vidi il coreografo Frederick Ashton fermarsi a parlare con lei. Le corresse un dito mignolo della mano. Ecco, questo mi ha fatto capire quanto siano importanti i maestri e quanto sia necessario lavorare. Perché non ci sono segreti, il problema è solo amare il proprio lavoro e impegnarsi tanto.

 

E’ stata musa ispiratrice non solo dei più importanti coreografi al mondo ma anche di poeti. Montale ha scritto per lei La danzatrice stanca, Alda Merini l’ha definita “una fata che genera altri tempi”…

Con la Merini eravamo amiche. Aveva questo dono meraviglioso, era capace di creare una poesia così, al telefono, su richiesta. Era mostruosa, una grande donna.

Nella vita ho incontrato tante persone che mi hanno ispirato, che mi hanno dato. Perché è sempre un dare e ricevere. Però in scena sei sola. Circondata da tanta gente ma in effetti sei sola con te tessa, con la tua mente, con la tua testa, con la tua sensibilità. Con i tuoi sentimenti.

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E’ un momento molto difficile per i teatri, c’è un messaggio che vuole mandare agli artisti?

Il teatro è importante, il teatro ci fa vivere. La chiusura è gravissima non soltanto per chi lavora in un teatro ma anche per il pubblico. Le persone hanno bisogno di ascoltare, di avere delle gioie, delle emozioni. Di tutto ciò che un artista può dare.

E’ terribile quello che stiamo vivendo. Manca il dialogo, la stretta di mano, l’abbraccio. Mi sento come vuota. Mi mancano mio figlio, i miei nipoti. E’ un anno esatto che io non li vedo se non con il telefonino. Speriamo di ritornare presto alla nostra vita, ai nostri sentimenti, alla nostra normalità. La vita è monotona così. Non so, la gioia di dire: “Cosa fai questa sera andiamo a teatro? Ecco. Teatro!”.

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