La prima ballerina del Teatro alla Scala di Milano racconta in diretta Instagram le difficoltà della vita in quarantena ma anche quanto l’arte possa essere di aiuto in un momento così buio. Poi lancia un appello per dare “voce e sostegno alle scuole di danza private”
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“Noi non siamo medici, non abbiamo la cura. Non possiamo salvare la vita. Ma un giorno, quando tutto questo sarà finito, potremo risollevare l’animo. Far riscoprire un’emozione, una gioia, la bellezza di un sentimento. E’ questo quello che noi artisti possiamo curare”. E’ lontana dal suo teatro da più di due mesi Nicoletta Manni, prima ballerina della Scala di Milano. Da quando l’emergenza coronavirus (LO SPECIALE) ha interrotto di colpo le prove. “Stavo lavorando a Romeo e Giulietta - ricorda - Poi tutto è stato stravolto e ci siamo ritrovati di colpo nelle nostre case a spostare mobili per cercare di ricreare una sala prove”. La incontriamo lì, nella sua stanza, via Instagram. Una lunga diretta (IL VIDEO INTEGRALE) in cui ha raccontato a Sky Tg24 la sua vita in quarantena.
L’Italia, e la Lombardia in particolare, è stato il primo Paese ad essere stato colpito dall’emergenza coronavirus. Così la Scala è stato il primo Teatro a chiudere il sipario. Cosa ricordi di quel momento?
Eravamo in prova per le nuove produzioni. Io stavo lavorando al ruolo di Giulietta, la prima sarebbe stata il 29 aprile, giornata internazionale della danza. E’ stato uno stravolgimento improvviso delle nostre vite, giornate, di tutto. Nei primissimi giorni abbiamo provato a continuare con delle precauzioni ma non era possibile. Così ci siamo ritrovati nelle nostre case, abbiamo cercato di riadattarle e trasformarle in sale di danza. Abbiamo spostato i mobili, creato una sbarra, comprato un tappeto di linoleum per non scivolare.
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Riuscite ad allenarvi?
Non è semplice. Solitamente abbiamo a disposizione un pavimento e delle sale adatte, un maestro, un pianista, i colleghi con cui confrontarsi. Dentro casa è tutto diverso. Qui gli spazi sono piccoli, i pavimenti non sono giusti. Non si possono fare salti o diagonali ma si può lavorare su altro. Qualcosa di statico, di fermo. Sugli equilibri, ad esempio.
A proposito di esercizi in lockdown, ti abbiamo visto sui social restare in equilibrio in punta su una gamba mentre apri una bottiglia per bere. Quanto può aiutare la creatività nell’affrontare le difficoltà di questo momento?
Tanto, tantissimo. Io sono fortunata perché vivo con il mio compagno (Timofej Andrijanshenko, primo ballerino della Scala, ndr). Siamo in due e ci sproniamo a vicenda . Ci siamo reinventati dall’inizio alla fine. Stiamo sfruttando questa situazione per concentrarci su uno studio pulito, sulla cura dei dettagli. Quando siamo a teatro non abbiamo mai tempo per questo. La nostra vita di solito è talmente frenetica che la lezione è più un riscaldamento per le prove che uno studio vero e proprio. Questo è un momento utile invece per pensare al nostro corpo. Si possono fare anche tanti esercizi a terra.
Cosa ti manca di più di quella vita frenetica?
Mi manca il palcoscenico, il teatro, vivere l’emozione di uno spettacolo, il calore del pubblico. E poi tutto il resto: le sale, i maestri, i colleghi. I costumi, le scene, l’odore del palcoscenico. Tutto.
Ti sei mai immaginato il tuo ritorno a teatro?
Tante, tantissime volte. Tutti stiamo aspettando quel momento, sarà magico.
Nel piano di riapertura a cui sta lavorando il Teatro alla Scala si parla di un gala per la danza. Cosa vorresti danzare?
Qualsiasi cosa sarà indimenticabile. Non ho preferenze. L’ importante è tornare in scena. Il nostro direttore e il nostro sovrintendente stanno lavorando duramente a quello che sarà il nuovo inizio. Certamente noi ballerini avremo bisogno di tanto tempo prima di iniziare le prove, dobbiamo riabituare il nostro corpo per non rischiare.
Tutti i teatri del mondo aspettano quel momento..
Siamo stati i primi noi alla Scala a essere stati colpiti dall’emergenza coronavirus. In quel momento ci siamo sentiti molto soli. Ci chiedevamo: perché noi siamo fermi mentre gli altri stanno facendo ancora spettacoli? Poi, poco dopo, ci siamo ritrovati tutti nella stessa situazione. E abbiamo iniziato a condividere le stesse difficoltà. Anche quelle con il frigorifero o con il mobile che ci tolgono spazio.
Come trascorri le tue giornate, al di là degli allenamenti?
A casa ci siamo sentiti quasi disorientati, eravamo abituati a starci poco. Ora ce la stiamo godendo. Nel tempo libero ci dedichiamo alla cucina, abbiamo iniziato a fare dei puzzle. E guardiamo tanti video dei vari spettacoli trasmessi in streaming dai teatri di tutto il mondo. Per noi anche questa è una novità perché di solito ci concentriamo sul ruolo che stiamo studiando, non abbiamo mai tempo per il resto. E ci siamo rivisti anche noi. Alcuni video sono anche molto recenti e fa uno strano effetto pensare che sia passato così poco tempo.
Ci sono anche molte lezioni online date da professionisti e primi ballerini. E tu?
Dare lezione di solito mi imbarazza molto ma vincerò questa paura. La lezione è un qualcosa di molto intimo per un ballerino. E’ un momento in cui ci sentiamo soli con il nostro lavoro. Il fatto di dare lezione a qualcun altro mi mette in soggezione ma sto lavorando su questo e prometto che cercherò di farlo.
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Tra le lezioni più seguite quelle di Ondance, la festa della danza ideata da Roberto Bolle che quest’anno si è trasferita inevitabilmente online. Un anno fa, in occasione della seconda edizione, hai ballato in Piazza del Duomo nel gran gala finale. Sono esperienze molto diverse dal danzare in teatro?
Sì completamente. Sono esperienze diverse e molto divertenti. Mi mancano molto. Ricordo che già durante le prove, nel pomeriggio, mi sembrava così strano essere in un camerino in piazza del Duomo, là dove di solito passeggiano milioni di persone. E ricordo la folla così attenta a guardare lo spettacolo. Era solo un anno fa…
Cosa porterai sulla scena di queste settimane in quarantena?
La quarantena mi sta insegnando ad apprezzare ancora di più quello che ho. Mi auguro che possa essere un momento per ricaricarmi, per riflettere, per riempire ancora di più corpo e mente di passione. Sicuramente non è tempo perso, a qualcosa servirà.
Quanto la danza può aiutare in un momento così difficile?
Tantissimo. Noi non siamo medici, non abbiamo la cura. Non possiamo salvare le vite. Però quando tutto sarà finito, noi artisti potremo risollevare l’animo umano. Far riscoprire un’emozione, la gioia, la bellezza. Un sentimento. Questo è quello che noi possiamo curare. Mi auguro che quando sarà il momento le persone non avranno paura di tornare a teatro.
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Se guardi indietro, qual è stato il momento più difficile della tua carriera?
Il mio lavoro è una sfida continua. È porsi un obiettivo e raggiungerlo superando un limite. Siamo sempre alla ricerca di una perfezione che non c’è. Ma questo è anche il bello perché persino in un difetto si può trovare la bellezza e arrivare al pubblico attraverso qualcosa di diverso. Il momento in cui mi sento meglio è quando mi trovo in scena e sto facendo quello che amo. Quello per cui ho lavorato, provato e sudato. Poi si è messi alla prova di continuo.
Come quando, nel 2015, ti sei esibita nel gala di chiusura dell’Expo accanto a star internazionali e hai tirato fuori una tecnica da fare invidia ai tuoi colleghi stranieri…
Avevo 23 anni, ero stata promossa prima ballerina da meno di un anno. Ero inesperta rispetto agli altri. Ho avuto tante occasioni come questa, sono stata fortunata perché quelli sono i momenti in cui cresci tantissimo. Devi essere velocemente al livello di chi hai accanto. Ricordo con affetto il primo Don Chisciotte con Leonid Sarafanov. O quando, un’ora prima dell’inizio di uno spettacolo, mi hanno chiesto di sostituire Svetlana Zakharova nel Lago dei cigni che aveva avuto un infortunio. Così, senza prove, accanto a David Hallberg. In queste situazioni o ci provi o niente.
Hai fatto un appello a favore delle scuole di danza che stanno vivendo un momento molto difficile per l’emergenza coronavirus
Mi sono a cuore. Io ho iniziato a studiare in una scuola privata e sono l’artista che sono anche grazie alla mia maestra dell’epoca. Il mio fidanzato ha studiato solo in una scuola privata in Italia ed è diventato primo ballerino. E’ un mondo da difendere perché è da lì che nascono i grandi artisti. Hanno bisogno anche di una voce di aiuto da parte nostra, oltre che di un sostegno economico concreto che permetta loro di riaprire.
Vuoi mandare un messaggio ai piccoli danzatori che non faranno il saggio quest’anno?
Io so cosa vuol dire aspettare l’unico spettacolo dell’anno. So benissimo cosa si prova. Posso dire che non devono sentirsi soli. Non bisogna perdersi d’animo perché è un momento in cui abbiamo bisogno di ricaricarci per avere le energie da usare al meglio quando potremo tornare sul palco. Perché quel giorno arriverà.