Diversità, disuguaglianze e muri abbattuti anche nel cinema. Dopo le "parole" del #metoo dello scorso anno arrivano i fatti. Quando i Golden Globe sono più coraggiosi (e liberi) degli Oscar
Più informali, più rilassati, più brevi degli Oscar. Anche quest’anno i Golden Globe si sono differenziati per la capacità della stampa estera (che vota) a Hollywood di dettare “legge” in fatto di cinema e tv, di capire quali siano le tendenze di questa industria così redditizia e di lanciare messaggi politici e sociali senza proclami o attacchi plateali.
Il messaggio dei premi
La diversità, le disuguaglianze razziali e i muri che anche il cinema può abbattere (come dice Alfonso Cuaron) hanno vinto premi ma lo hanno fatto più in sordina rispetto al “total black” del red carpet dello scorso anno quasi seguendo il pensiero che "less is more". A me piacciono i Golden Globe forse perché come giornalista italiana mi sento vicina ai gusti e alle scelte più europee dei colleghi stranieri che vivono a Los Angeles rispetto ai membri (più rigidi e settari) dell’Academy. Tralasciamo la ventata di freschezza e di cambiamento che anche gli oscar sta faticosamente cercando di raggiungere e lasciamo ovviamente sottinteso che gli oscar siano i premi cinematografici più importanti, vero è che i Golden Globe hanno più margine di movimento nel senso che possono scegliere tra una rosa più ampia di film e attori, potendoli smistare tra differenti categorie e avendo meno peso degli oscar anche meno "equilibri" da rispettare. Esempi alla mano: qui esiste la categoria miglior film drammatico diversa da miglior commedia musicale. Resta poi il fatto, a volte decisamente fuorviante, che alcuni film siano messi in categorie che all’apparenza non li riguardano. Anche in questa edizione, la 76ma ad esempio, “A star is born” era candidata tra i film drammatici, come del resto “Bohemian Rhapsody” che ha vinto, mentre “Vice” concorreva nella categoria miglior commedia. “Pasticci” che vengono, secondo me, cancellati dalla tendenza dei Golden Globe a favorire gli outsider e a dare attenzione e voce a film più “piccoli” per budget e numero di sale, vedi quel gioiellino di “Green Book”.
Inarrestabile Cuaron, scontato Bale
E’ un gran film “Roma” nel senso che è cinema allo stato puro, è omaggio a questa arte e omaggio all’universo femminile della vita di Cuaron. Mi dispiace per Willem Dafoe che non prende nulla per il suo straordinario, umano e struggente Van Gogh mentre trovo un po' “noiosa” la vittoria di Christian Bale per il suo Dick Cheney in un film in cui la vera e unica nota rilevante è la capacità camaleontica dell’attore. Nulla più.
Lady Gaga frena, Glenn Close vola
Nonostante io abbia adorato e anche pianto un pochino nel vedere a Venezia “A star is born” credo che Lady Gaga abbia vinto l’unico premio giusto per lei, quello alla canzone originale “Shallow”. Se è probabile una sua candidatura agli oscar trovo davvero improbabile una sua vittoria e qui do decisamente ragione ai Golden Globe: Glenn Close le è superiore, decisamente superiore. Visto poi che l’attrice 72enne inspiegabilmente e incredibilmente non ha mai vinto un oscar, quest’anno potrebbe essere la volta buona e sarebbe persino “buffo” se lo vincesse interpretando il ruolo di una donna rimasta sempre nell’ombra come in “The Wife”. Sono felice anche per Olivia Colman che è straordinaria in “La favorita” e che, prendendosi in giro ha dedicato il premio alle “puttanelle” della sua corte, Emma Stone e Rachel Weisz. (vedere film per capire)!. Insomma viva i Golden Globe che invece di inchiodare sulle poltrone le star, come agli oscar, le fa accomodare ai tavoli, le lascia libere di girare per la sala e perché no, libere di bere champagne. Sarà per questo che in fondo risultano sempre tutti così simpatici.