La giornata mondiale della consapevolezza sugli tsunami

Scienze

Gabriele De Palma

©Getty

Ogni 5 novembre il mondo dedica un giorno ad aumentare la coscienza su un fenomeno molto distruttivo che ha una lunga storia documentata. La data è stata scelta in ricordo del gesto di un coltivatore di riso giapponese che, nel 1854, per allertare la popolazione del rischio di un maremoto, diede fuoco ai suoi campi

Il fuoco di Hinamura è uno degli incendi più utili della storia. Le fiamme vennero appiccate nella notte del 5 novembre 1854 ai covoni dei propri campi di riso da Goryo Hamaguchi. Si era appena verificata una scossa sismica considerevole e Hamaguchi ricordò un vecchio proverbio secondo cui dopo un lungo terremoto viene uno tsunami. Grazie a quei fuochi, che valsero sia come allarme sia come faro nell’oscurità della notte, gli abitanti della cittadina di Hinamura riuniti in spiaggia per festeggiare una ricorrenza tradizionale riuscirono mettersi in salvo sulle alture e a evitare di essere travolti dall’onda che poco dopo si abbatté sulla costa. È in ricordo di quel gesto di altruismo che l’Onu ha stabilito di dedicare il 5 novembre alla Giornata mondiale della Consapevolezza sugli Tsunami, anche noto come tsunamiday.

Cosa sono e come si formano

Gli tsunami, termine giapponese per l’italiano maremoto, sono onde di dimensione anomala causate da un terremoto sottomarino. Non tutti i terremoti sottomarini però danno origine a uno tsunami, dipende oltre che dall’intensità della scossa anche dal tipo di movimento che questa suscita nel fondale. La forza dell’onda è dovuta alla quantità d’acqua inizialmente spostata dal terremoto. La distanza che può raggiungere dipende dal numero e dall’altezza degli ostacoli che incontra sul suo percorso. L’altezza dell’onda che si abbatte sulla costa, invece, dipende soprattutto dalla conformazione del fondale prossimo alla terraferma. La velocità a cui può viaggiare in mare aperto uno tsunami è elevatissima e supera a volte i 500 km/h. Spesso, anche se non sempre, l’onda è anticipata dal ritrarsi delle acque a riva.

epa08785699 People near a collapsed building after a 7.0 magnitude earthquake in the Aegean Sea in Izmir, Turkey, 30 October 2020. According to Turkish media reports dozens of buildings were destroyed in the earthquake.

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Dove si verificano

Gli tsunami più violenti degli ultimi anni sono stati senza dubbio quello del 26 dicembre 2004 al largo delle coste dell’Indonesia, che provocò la morte di più di duecentomila persone, e quello che si abbattè nel nord del Giappone nel marzo del 2011 causando, oltre alla morte di diecimila persone e alla distruzione dell’edificato, anche il disastro nucleare di Fukushima. Sia il Giappone che l’Indonesia sono aree geografiche particolarmente soggette al verificarsi di questi fenomeni, e fanno parte della cosiddetta ‘cintura (o anello) di fuoco’ del Pacifico. Ma anche il Mar Mediterraneo - in particolar modo l’Egeo e le coste tra Sicilia e Calabria - è stato teatro di maremoti molto distruttivi nel corso della storia. Tucidide ne descrive uno occorso durante le Guerre del Peloponneso nel V secolo a.C. Lo stretto di Messina è uno dei luoghi dove i maremoti si verificano con maggiore frequenza. I più distruttivi si sono avuti nel 362, nel 1783 e come effetto collaterale del terremoto che colpì l’area nel 1908. Nel 1169 fu invece Catania a essere sommersa, con quasi ventimila vittime.

Tsunami leggendari

Sono almeno due i maremoti che sono rimasti nei libri che hanno formato la cultura europea. Il primo è all’origine della separazione delle acque nel Mar Rosso durante l‘esodo degli israeliti guidato da Mosè. La descrizione biblica che narra di acque che si ritirano per poi erompere in una onda fragorosa sembra il racconto dei cronisti dello tsunami del 2004 in Indonesia. Anche una delle sette meraviglie del mondo, il Faro di Alessandria, venne abbattuto da un’onda gigante nel 1309 causata dal terremoto al largo delle coste di Creta. Tra gli appassionati di tsunami però, il posto d’onore dei maremoti è riservato al maremoto della Baia di Lituya, in Alaska. Il 9 luglio 1958 una frana di proporzioni inusitate - tecnicamente non sarebbe uno tsunami non essendo provocato da un terremoto sottomarino - che riversandosi in mare sollevò un’onda di 525 (cinquecentoventicinque) metri. 

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Imprevedibili

Purtroppo non è attualmente possibile prevedere con certezza il verificarsi di uno tsunami, inoltre la forza dell’onda è troppo intensa perché gli edifici possano resistere (sulla scorta delle costruzioni antisismiche, per intendersi). Non potendo prevederli nè resistere, l’unica soluzione resta quella adottata da Goryo Hamaguchi: allertare la popolazione dell’arrivo di uno tsunami.  Con questo obiettivo sono stati sviluppati negli anni sistemi di monitoraggio delle scosse sismiche sottomarine che permettono di allertare la popolazione sulle coste in pericolo. Ma il sistema ha dato negli anni molti falsi allarmi e nel caso di scosse sismiche molto vicine alla costa, data anche la velocità di propagazione delle onde, purtroppo non c’è alcuna soluzione praticabile. Se si verifica un allarme tsunami, l’unica cosa da fare è cercare di raggiungere le alture nel più breve tempo possibile. Nelle aree soggette al rischio di maremoti, sono stati predisposti piani di evacuazione.

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