Viaggi in orbita, la stazione commerciale targata Vast

Scienze
Marta Meli

Marta Meli

Il viaggio di Sky Tg24 a Long Beach, in California, per raccontare la storia di Vast, società privata che punta a costruire e mettere in orbita la prima stazione spaziale commerciale nel 2025. Obiettivo: lavorare per la Nasa e collaborare anche con l'Italia, offrendo biglietti di andata e ritorno per lo spazio ad astronauti di agenzie spaziali e privati cittadini. Con una visione precisa del futuro: lavorare, vivere e un giorno nascere lontano dalla Terra

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Live in Space. Vivere nello Spazio. Il sogno ha un indirizzo di Long Beach, nel sud della California. Dove troviamo un grande capannone con la scritta Vast, compagnia aerospaziale fondata due anni fa da Jed McCaleb che punta a costruire la più grande stazione spaziale al mondo in nome di una visione: una comunità di persone che vive, lavora, e magari un domani nasce lontano dalla Terra. Parola di Max Haot, il suo amministratore delegato, un imprenditore digitale votato allo spazio dopo molto tempo passato a riflettere sul futuro della specie umana e su come preservare il pianeta. Il suo modello di riferimento? Elon Musk, perché, spiega a Sky Tg24, “con SpaceX è riuscito a costruire qualcosa che sembrava impossibile e ha fatto da apripista ad altri imprenditori sulla via dell’esplorazione spaziale”.

 

La gara della Nasa

Nel vasto hangar dove ci accoglie l’atmosfera è quella da lavori in corso e il rumore delle macchine costante. “Noi siamo costruttori di stazioni spaziali - racconta Haot mentre ci mostra orgoglioso il modellino di Haven-1. “la nostra priorità numero uno è vincere il contratto della Nasa per rimpiazzare la Stazione spaziale internazionale, che verrà dismessa entro il 2030. Il programma si chiama Commercial Leo (Low Earth Orbit) Destinations e prevede entro il 2026 un vincitore che costruirà per la Nasa stazioni commerciali avendo come potenziali clienti agenzie spaziali nazionali, industrie e privati cittadini. Per colmare il ritardo nella competizione e vincere, c’erano compagnie che ci stavano lavorando ancora prima che venissimo fondati, un anno fa abbiamo annunciato il progetto Haven-1: costruire e mettere in orbita una stazione commerciale, farci vivere quattro astronauti per dieci giorni e poi farli ritornare casa, il tutto entro il 2026. Se rispettiamo i tempi credo che sarà molto difficile per la Nasa non scegliere noi come partner”.

D: come pensate di riuscire nell’impresa?

“Noi stiamo cercando di fare qualcosa di mai tentato prima: una stazione spaziale commerciale cinque volte meno costosa e più veloce a costruirsi da lanciare nello spazio nell’agosto del 2025. Fondamentale è la nostra partnerhip con SpaceX. Lanceremo la nostra stazione con un loro razzo Falcon 9 riutilizzabile. All’inizio sarà senza equipaggio, osserveremo come si comporta per tre mesi e poi lanceremo con un secondo razzo una navetta Dragon con equipaggio che raggiungerà Haven-1 per restarci dieci giorni. Sarà la prima di quattro spedizioni spalmate su tre anni, il tempo in cui Haven-1 resterà in orbita”.

 

The SpaceX Starship is seen as it stands on the launch pad ahead of its fourth flight test from Starbase in Boca Chica, Texas on June 5, 2024. Starship, the world's most powerful rocket, is set for its next test flight on June 6, SpaceX announced. It will be the fourth test for the sleek mega rocket, which is vital to NASA's plans for landing astronauts on the Moon later this decade, and to SpaceX CEO Elon Musk's hopes of eventually colonizing Mars. (Photo by CHANDAN KHANNA / AFP) (Photo by CHANDAN KHANNA/AFP via Getty Images)

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Una società spaziale 

D: Ritiene che possiamo già definirci una società spaziale?

“Dal lancio dello Sputnik, alla fine degli anni '50, abbiamo sviluppato una tecnologia che ci consente di sfuggire alla gravità e di restare nello spazio. Poi nel 1961 abbiamo avuto Gagarin, il primo uomo nello spazio, e nel 1969 c’è stato l’allunaggio. Queste sono state le prime tappe che ci hanno fatto diventare una civiltà spaziale, anche se in seguito abbiamo rallentato, continuando a progredire per quanto riguarda satelliti e stazione spaziale, ma restando molto indietro rispetto ai piani iniziali da un punto di vista di esplorazione della Luna e di Marte. Nel frattempo, a guidare l’industria dello spazio non ci sono più solo i governi, sono scesi in campo i privati e oggi si lavora per tornare sulla Luna e restarci, con la speranza di arrivare un giorno su Marte. Contemporaneamente costruiamo stazioni commerciali e se troviamo il modo di farlo in maniera meno costosa, sostenibile, più velocemente e con profitto, beh questo è il motivo per cui esistono aziende come la nostra”.

Il futuro secondo Vast

D: Chi sono i vostri potenziali clienti e che tipo di astronauti state cercando?

“Per i prossimi decenni i costi maggiori dell’andare nello spazio saranno costituiti dai mezzi di trasporto, quindi razzi e capsule. Unendo lo sforzo di SpaceX con Starship al nostro speriamo di abbatterli in modo che ciascuno possa, volendo, vivere e lavorare in orbita. Se guardiamo a quello che oggi è questo mercato, il più grande cliente resta ovviamente la NASA e per questo noi speriamo di essere i vincitori della loro gara del 2026. Poi ci sono altri potenziali clienti, rappresentati da tutti quei Paesi con cui collaboriamo, tra cui l’Italia, e che intendono mandare astronauti professionisti in orbita bassa e oltre in futuro, quindi le loro agenzie spaziali nazionali. Infine, ci sono altri due segmenti emergenti. Il primo è quello degli individui privati, che ci interessano nella misura in cui hanno a cuore la ricerca e l’esplorazione, noi non amiamo il termine turista spaziale, soggetti che magari hanno messo assieme un ingente patrimonio e decidono di investirne una parte per andare in orbita a fare scienza e campagne di sensibilizzazioni per le attività spaziali. L’ultimo segmento dovrebbe diventare quello della manifattura in orbita. Al momento nello spazio si fa molta ricerca su materiali che poi si utilizzano sulla Terra, ma siamo in un momento in cui i progressi della tecnologia e gli esperimenti, soprattutto nel settore farmaceutico e della microelettronica, potrebbero presto consentirci di trasformare intere stazioni spaziali in piccole fabbriche per prodotti che sono importanti sulla Terra”.

D: Come riuscirete a garantire costi bassi e sostenibilità?

“Se guardiamo a Haven-1, non c’è niente di innovativo rispetto a quanto fatto in passato con la Stazione spaziale internazionale dai singoli governi. È una piccola stazione, con un volume notevole, circa cinque volte quello di una capsula Dragon, ma a parte la connettività che stiamo cercando di garantire utilizzando la costellazione Starlink di SpaceX, si tratta di qualcosa che è già stato fatto. La vera innovazione è riuscire a farlo in maniera meno costosa e più velocemente di chiunque altro prima di noi. Se pianifichi di costruire una stazione spaziale in due anni invece che in dieci i costi si abbattono fino a cinque volte: è questa la chiave. Fallo prima, in maniera agile, con un approccio commerciale e con gli astronauti giusti e alla fine diventerà qualcosa di redditizio”.

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Un biglietto andata e ritorno per lo spazio

D: Può dirci quanto costerà uno dei vostri biglietti?

“Non possiamo ancora svelarlo, ma girando in rete si può avere un’idea di quanto costi salire a bordo di una capsula Dragon e di quanto spendano le singole agenzie spaziali per mandare astronauti a bordo della ISS. Noi siamo a metà tra le due, avremo un extracosto se decidi di stare a bordo della nostra stazione e non solo a bordo della Dragon, che resterà agganciata a Haven-1 per tutta la durata delle singole missioni, ma sarà comunque un costo inferiore rispetto a quello di volare a bordo della ISS”.

Prima di lasciarci, Max Haot ci guida all’interno del modulo Pathfinder dove abbiamo realizzato l’intervista, mostrandoci il portellone a cui si aggancerà la navetta Dragon e da cui passeranno gli astronauti. Sembra una scena di 2001 Odissea nello Spazio, il film di Stanley Kubrick che nel 1968 aveva immaginato una enorme astronave rotante in grado di produrre gravità artificiale. E allora, grazie alle immagini del collega Dennis Alberti, per un attimo lo spazio sembra più vicino.

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