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Il telescopio James Webb vede due galassie all'alba del cosmo. FOTO

Scienze

Sono  tra le primissime formatesi nell'universo primordiale, tra 350 e 450 milioni di anni dopo il Big Bang. Lo conferma lo studio di un team internazionale guidato dall'Italia, con l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf)

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Si alza finalmente il sipario sull'alba del cosmo grazie al nuovo telescopio spaziale James Webb (Jwst), lanciato lo scorso Natale dalle agenzie spaziali di Stati Uniti (Nasa), Europa (Esa) e Canada (Csa). Nelle sue prime osservazioni scientifiche, il telescopio spaziale più grande e potente mai costruito è riuscito a immortalare due tra le primissime galassie dell'universo primordiale, tra 350 e 450 milioni di anni dopo il Big Bang. Un risultato rivoluzionario che apre una nuova era per l'astronomia, come indica lo studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters da un team internazionale guidato dall'Italia con l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Alla collaborazione hanno partecipato anche ricercatori dello Space Science Data Center dell'Agenzia Spaziale Italiana (Asi), dell'Università di Ferrara e della Statale di Milano. 

Isolated Black Hole

Le galassie più antiche mai viste

Le due galassie, tra le più antiche mai viste finora, sono state individuate grazie alle osservazioni del lontano ammasso di galassie Abell 2744 e di due regioni del cielo ad esso adiacenti, realizzate dal telescopio spaziale tra il 28 e il 29 giugno nell'ambito del progetto Glass-Jwst Early Release Science Program. Il gruppo guidato da Marco Castellano, ricercatore Inaf a Roma, è stato tra i primi a usare i dati di Jwst, pubblicando un pre-print sulla piattaforma arXiv a luglio, solo cinque giorni dopo che i dati erano stati resi disponibili. "C'era molta curiosità nel vedere finalmente cosa Jwst poteva dirci sull'alba cosmica, oltre naturalmente al desiderio e all'ambizione di essere i primi a mostrare alla comunità scientifica i risultati ottenuti dalla nostra survey Glass", afferma Castellano. "Non è stato facile analizzare dei dati così nuovi in breve tempo: la collaborazione ha lavorato 7 giorni su 7 e in pratica 24 ore su 24 anche grazie al fatto di avere una partecipazione che copre tutti i fusi orari". 

The Pillars of Creation are set off in a kaleidoscope of color in NASA’s James Webb Space Telescope’s near-infrared-light view. The pillars look like arches and spires rising out of a desert landscape, but are filled with semi-transparent gas and dust, and ever changing. This is a region where young stars are forming – or have barely burst from their dusty cocoons as they continue to form.
Newly formed stars are the scene-stealers in this Near-Infrared Camera (NIRCam) image. These are the bright red orbs that sometimes appear with eight diffraction spikes. When knots with sufficient mass form within the pillars, they begin to collapse under their own gravity, slowly heat up, and eventually begin shining brightly.
Along the edges of the pillars are wavy lines that look like lava. These are ejections from stars that are still forming. Young stars periodically shoot out supersonic jets that can interact within clouds of material, like these thick pillars of gas and dust. This sometimes also results in bow shocks, which can form wavy patterns like a boat does as it moves through water. These young stars are estimated to be only a few hundred thousand years old, and will continue to form for millions of years.
Although it may appear that near-infrared light has allowed Webb to “pierce through” the background to reveal great cosmic distances beyond the pillars, the interstellar medium stands in the way, like a drawn curtain.
This is also the reason why there are no distant galaxies in this view. This translucent layer of gas blocks our view of the deeper universe. Plus, dust is lit up by the collective light from the packed “party” of stars that have burst free from the pillars. It’s like standing in a well-lit room looking out a window – the interior light reflects on the pane, obscuring the scene outside and, in turn, illuminating the activity at the party inside.
Webb’s new view of the Pillars of Creation will help researchers revamp models of star formation. By identifying far more precise star populations, along with the quantities of gas and dust in the region, they will begin to build a clearer understanding of how stars form and burst out of these clouds over millions of years.
The Pillars of Creation is a small region within the vast Eagle Nebula, which lies 6,500 light-years away.
Webb’s NIRCam was built by a team at the University of Arizona and Lockheed Martin’s Advanced Technology Center.

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La ricercatrice: "Nuovo capitolo per l'astronomia"

Tanta fatica è stata ricompensata da risultati straordinari. "Queste osservazioni sono rivoluzionarie: si è aperto un nuovo capitolo dell'astronomia", commenta Paola Santini, ricercatrice dell'Inaf a Roma e coautrice dell'articolo. "Già dopo i primissimi giorni dall'inizio della raccolta dati, Jwst ha mostrato di essere in grado di svelare sorgenti astrofisiche in epoche ancora inesplorate". Queste antiche galassie "sono molto diverse dalla Via Lattea o da altre grandi galassie che vediamo oggi intorno a noi", spiega il responsabile del progetto Glass-Jwst Tommaso Treu, professore all'Università della California a Los Angeles e tra i protagonisti di una conferenza stampa organizzata dalla Nasa per presentare i nuovi risultati. 

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Il dato sulla distanza tra le due galassie deve essere confermato

Le osservazioni del Jwst sembrano indicare che le galassie nell'universo primordiale fossero molto più luminose, anche se più compatte del previsto. Se ciò fosse vero, potrebbe rendere più facile per il telescopio trovare un numero ancor maggiore di queste galassie precoci nelle sue prossime osservazioni. La distanza delle due antiche galassie dovrà essere confermata con maggior precisione, ma si tratta già dei candidati più robusti selezionati ad oggi con dati del Jwst. A confermare l'affidabilità dei risultati è l'accordo con quanto riscontrato in altri studi, come il lavoro guidato da Rohan Naidu dell'Harvard Center for Astrophysics (Usa), pubblicato sempre su The Astrophysical Journal Letters. 

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