Com'è fatto il centro della Terra? Uno studio tutto italiano, pubblicato sulla rivista scientifica “Pnas”, è riuscito a decifrare una microscopica sequenza di minerali in un cristallo proveniente da una grandissima profondità
Com’è composto, esattamente, il centro della Terra? A rispondere a questa domanda ci ha pensato un importante lavoro di ricerca, condotto da un team di ricercatori guidato da Chiara Anzolini, del Dipartimento di Geoscienze dell'Università di Padova, che ha studiato alcuni diamanti super-profondi e molto rari, scoprendo al loro interno “decine di particolari micro inclusioni di minerali contenenti ferro a differenti stati di ossidazione (ferro metallico, ferroso e ferrico)”.
La composizione chimica e mineralogica
Pubblicato sulla rivista scientifica “Pnas”, lo studio in sostanza spiega la composizione chimica e mineralogica dell’interno del nostro pianeta, partendo da una microscopica sequenza di minerali decifrata in uno specifico cristallo proveniente da una profondità particolarmente elevata. Si tratta di elementi considerati dagli esperti come rappresentativi della composizione mineralogica del nostro pianeta a profondità maggiori di 400 km. In passato, attraverso simulazioni in laboratorio delle condizioni primordiali di pressione e temperatura, si era potuto scoprire come minerali tra cui la bridgmanite e il ferropericlasiosiano siano stati tra i primi a formarsi. Successe man mano che il nucleo terrestre, composto da una lega di ferro e nichel, compiva un processo di solidificazione, a causa del raffreddamento della palla di magma che costituiva il nostro pianeta più di 4.5 miliardi di anni fa. Nonostante queste scoperte però, la composizione chimica e mineralogica dell’interno della Terra era ancora oscura, perché le osservazioni dirette non sono mai riuscite ad approfondire definitivamente la questione. Lo racconta nel dettaglio il sito dell’Università di Firenze, di cui fa parte, tra gli altri scienziati, anche Luca Bindi, ordinario di mineralogia del Dipartimento di Scienze della Terra presso l’ateneo toscano. Ora lo studio tutto italiano ha cercato di dare delle risposte.
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I rapporti volumetrici tra i minerali
“Di sicuro è improbabile che a una profondità di 300-1000 metri vi sia ossigeno libero capace di ossidare, cioè arrugginire, i minerali presenti, producendo nuovi solidi”, hanno spiegato i ricercatori. Proprio per questo motivo, il diamante da cui è partito lo studio è diventato “una sorta di navicella di informazioni sulla presenza di fasi metalliche e carbonio allo stato elementare”. Una differenza però è stata fondamentale nel lavoro del team italiano. “La sequenza di minerali decifrata all’interno del diamante super-profondo studiato è simile a quanto già osservato da altri ricercatori in passato. Rispetto agli studi precedenti, però, i rapporti volumetrici tra questi minerali sono tali che possono essersi formati solo dalla decomposizione di un minerale la cui formula chimica proposta, sebbene ancora oggetto di dibattito, è Fe4O5”. Proprio la scoperta di un minerale come Fe4O5 dà spazio adesso a nuovi scenari riguardanti la composizione chimica e mineralogica del mantello profondo della Terra e riesce a dimostrare informazioni più dettagliate riguardo alla composizione chimica e mineralogica dell’interno del nostro pianeta.
Fenomeni chimici inaspettati
In sostanza, spiegano infine gli esperti, la presenza di inclusioni di minerali contenenti ferro con vari stadi di ossidazione suggerisce che “porzioni di crosta ricche in ossigeno siano arrivate in profondità, innescando reazioni chimiche che da un lato hanno provocato l’arrugginimento del Fe contenuto nei minerali presenti, ma dall’altro hanno causato la formazione di diamanti”. Secondo Bindi, la scoperta di un diamante con inclusioni ricche di ferro a differenti stati di ossidazione indica "fenomeni chimici inaspettati a quelle profondità, che si accompagnano a una serie di reazioni che lasciano intendere quanto dinamica sia la Terra al suo interno”.