Epatite C: in Italia oltre 196.000 persone curate, ma 300.000 non sanno di averla
Salute e BenessereIl problema del ‘sommerso’ è ancora molto rilevante e necessita un immediato intervento: stando ai dati dell’Istituto superiore di sanità, nella Penisola si stima che fino a gennaio dello scorso anno, fossero 470.000 le persone non trattate
Nonostante l’Italia sia tra i nove Paesi al mondo ad essere in linea con gli obiettivi fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che mira entro il 2030 a ridurre del 90% le nuove infezioni di epatite C e del 65% i decessi, il problema del ‘sommerso’ è ancora molto rilevante e necessita un immediato intervento.
Ad oggi sono oltre 196.000 nella Penisola le persone con epatite C trattate con gli antivirali di ultima generazione, risultati efficaci nel 97-98% delle casistiche.
Tuttavia, stando ai dati dell’Istituto superiore di sanità, in Italia si stima che fino a gennaio dello scorso anno, fossero 470.000 le persone non trattate, di cui 300.000 non sapevano di essere infette.
Questo è il quadro emerso durante la premiazione del concorso 'Giovani video-maker per una nuova visione: storie per vincere l'epatite C. Insieme l'eliminazione è possibile’, tenutosi a Milano, che ha visto la partecipazione dei maggiori esperti del settore. L’evento organizzato da Gilead, con la collaborazione della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), dell'Associazione italiana studio del fegato (Aisf), della Fondazione The Bridge e della Federazione LiverPool rientra nella campagna “Insieme si Vince”.
Gli anziani sono tra le categorie più a rischio
Come ha spiegato Massimo Andreoni, direttore scientifico della Simit, il primo importante passo da compiere è quello di andare in cerca delle persone che hanno il virus ma che non si sono ancora sottoposte al test: "Convincere qualcuno a farlo non è semplice perché l'epatite C è una malattia subdola, che rimane silente per molti anni e quindi molte persone si sentono bene e non pensano a farsi l'esame". Come spiegato dall’esperto, le categorie più a rischio oltre ai detenuti e ai tossicodipendenti, sono anche gli anziani, in quando i medici fino agli anni '60 erano soliti utilizzare le siringhe in vetro: “in Italia la prevalenza di over 65 con epatite C è particolarmente alta".
“Il sistema funziona bene ma va migliorato”
"Abbiamo un sistema che funziona bene ma va migliorato. Importanti sono i programmi di screening e anche abbattere alcune barriere”, ha spiegato Salvatore Petta, segretario dell'Associazione Italiana Studio del Fegato (Aisf), ricordando l’importanza delle campagne di sensibilizzazione e di prevenzione.
“Un importante risultato è che da ottobre, grazie all'approvazione del 'criterio 12' da parte dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa), sarà possibile raggiungere anche quelle persone, come detenuti e i tossicodipendenti seguiti dai Serd, che per motivi socio-assistenziali non possono sottoporsi alla biopsia epatica o al fibroscan, esami finora richiesti per accedere al trattamento”.