Lo studio è stato realizzato dal Dipartimento di Scienze della formazione dell'Università di Roma Tre in collaborazione con l'associazione REICO. Sono oltre 10mila professionisti del settore che operano per il benessere delle persone
Indagare e raccontare il ruolo e il lavoro di una figura professionale, quella del counselor, che in Italia vanta ormai 40 anni di storia, ma che oggi nel contesto di una società complessa e in continua trasformazione rappresenta una risorsa fondamentale. Nasce con questi obiettivi la prima ricerca sociologica sulla figura professionale del counselor in Italia presentata oggi e realizzata dal dipartimento di Scienze della formazione dell'Università Roma Tre, in collaborazione con l'associazione REICO. La ricerca si basa su un campione di interviste, realizzate con professionisti del settore, che rispetta le proporzioni di genere e di diffusione sui territori.
Il ruolo del counselor
La figura del counselor, disciplinata dalla legge 4/2013, si inquadra nell'ambito delle professioni non ordinistiche (o libere professioni) i cui professionisti non sono cioè iscritti ad un albo, ma sono aggregati in associazioni professionali che ne garantiscono le competenze attraverso un processo di formazione continua e di supervisione. "La ricerca evidenzia come il valore dell'intervento dei counselor sia non solo per il benessere delle persone - sottolinea Maria Cristina Falaschi, presidente di REICO - ma anche per la collettività. La società complessa in cui viviamo ha bisogno di persone, di cittadini, sempre più capaci di gestire e accompagnare le trasformazioni che caratterizzano la vita di ciascuno di noi, capaci di saper recuperare e valorizzare le proprie risorse anche nei contesti e nei momenti di difficoltà. Il counseling rappresenta insomma una risorsa sociale e i counselor occupano e possono occupare sempre di piu uno spazio di intervento sociale".

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Un aiuto efficace
Da sottolineare che il benessere e la salute delle persone, nelle condizioni particolari e specifiche di vita in cui si trovano, non hanno necessariamente a che fare con eventuali condizioni patologiche. Condizioni patologiche di cui i counselor non si occupano, rigorosamente rispettosi dei limiti della propria azione. Ma c'è moltissimo che si può fare e si deve fare per aiutare le persone prima, durante e dopo l'eventuale riconoscimento di condizioni patologiche. Infatti il malessere, la fragilità, il disorientamento delle persone non va confuso con la malattia, ma va letto in un contesto più generale di resilienza e sostenibilità".
I dati della ricerca
"Dalle analisi delle interviste - spiega Andrea Casavecchia, autore della ricerca e professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l'Università di Roma Tre - emerge una professionalità di frontiera, che si inserisce in un interstizio sociale particolare, con l'obiettivo di lavorare per il benessere soggettivo delle persone intervenendo sulle traiettorie spesso tortuose dei loro percorsi di vita, personali familiari e lavorativi. I counselor potrebbero, così, contribuire a ridurre le fragilità sociali e individuali costruendo una tipologia di intervento sociale calibrata sui cittadini per sviluppare azioni dirette non solo alla qualità di vita individuale, ma alla crescita e maturazione delle potenzialità e delle libertà di agire di ciascuno".
