Per il terzo anno consecutivo, il numero degli affamati non accenna a diminuire, mentre il mondo è afflitto da crisi sempre più profonde. Nel 2023, una persona su undici, in tutto il mondo, e una persona su cinque nella sola Africa, è stata vittima della fame
Il 16 ottobre ricorre la Giornata Mondiale dell’Alimentazione (GMA), celebrata in 150 paesi dalla FAO, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura. Il cibo rappresenta diversità, nutrizione, disponibilità, accessibilità e sicurezza. L’edizione 2024 pone l’accento sull’accesso universale ad un cibo nutriente, sicuro e sostenibile come diritto umano fondamentale. Nel mondo circa 2,8 miliardi di persone non possono permettersi un’alimentazione corretta con conseguenze deleterie come forme di malnutrizione: denutrizione, carenze di micronutrienti e obesità, oggi presenti nella maggior parte dei paesi e trasversali rispetto alle classi socioeconomiche. Le persone più vulnerabili sono spesso costrette a consumare solo alimenti di base o prodotti a buon mercato - spesso malsani - mentre altre non hanno accesso a generi alimentari freschi o diversificati, non dispongono delle informazioni necessarie per adottare un regime alimentare nutriente o magari optano per la praticità.
Le conseguenze del cambiamento climatico
La fame e la malnutrizione sono inoltre aggravate da crisi prolungate nel tempo causate da fattori concomitanti come conflitti armati, fenomeni meteorologici estremi e shock economici. Nel loro complesso, i sistemi agroalimentari sono vulnerabili alle calamità e alle crisi, in particolare agli effetti del cambiamento climatico, ma allo stesso tempo generano inquinamento, degrado dei suoli, delle risorse idriche e dell’aria, e concorrono alle emissioni di gas a effetto serra e alla perdita di biodiversità. Con la trasformazione dei sistemi agroalimentari è realmente possibile mitigare il cambiamento climatico e garantire mezzi di sussistenza pacifici, resilienti e inclusivi per tutti.
I dati del Fao
Per il terzo anno consecutivo, il numero degli affamati non accenna a diminuire, mentre il mondo è afflitto da crisi sempre più profonde. Nel 2023, una persona su undici, in tutto il mondo, e una persona su cinque nella sola Africa, è stata vittima della fame Secondo il rapporto dal titolo “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo” (SOFI), pubblicato da cinque agenzie specializzate delle Nazioni Unite, nel 2023, circa 733 milioni di persone hanno sofferto la fame, il che equivale a una persona su undici in tutto il mondo e a una persona su cinque nella sola Africa.
Obiettivi in grave ritardo
Il rapporto avverte che il mondo è in grave ritardo nel conseguimento dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile (OSS) n. 2, Fame Zero, entro il 2030 e mostra che il mondo è arretrato di 15 anni, precipitando a livelli di sottoalimentazione paragonabili a quelli del 2008-2009. Nonostante alcuni progressi ottenuti in aree specifiche, quali il ritardo della crescita e l’allattamento al seno esclusivo, un numero preoccupante di persone continua a essere vittima dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione, in un contesto in cui i livelli globali della fame sono rimasti stazionari per tre anni consecutivi, con un numero di affamati compreso tra 713 e 757 milioni di persone nel 2023, pari a circa 152 milioni di persone in più rispetto al 2019, considerando la fascia media (733 milioni).
approfondimento
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I Paesi più a rischio
A livello regionale, le tendenze variano in maniera significativa: la percentuale della popolazione afflitta dalla fame continua ad aumentare in Africa (20,4 percento), si è stabilizzata in Asia (8,1 percento)—benché la fame continui a rappresentare un problema enorme in questa regione, dove vive più della metà degli affamati del mondo —e mostra segni di miglioramento in America latina (6,2 percento). Dal 2022 al 2023, il fenomeno della fame si è aggravato nell’Asia occidentale, nei Caraibi e nella maggior parte delle sotto-regioni africane. Se queste tendenze continueranno, nel 2030, ci saranno circa 582 milioni di sottoalimentati cronici, la metà dei quali in Africa.