Il controllo della pressione alta è peggiorato in pandemia. Lo studio

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Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Hypertension ha fatto luce sugli effetti del Covid-19 sulle persone con ipertensione, le quali hanno visto un aumento dei livelli di pressione sanguigna durante la pandemia

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Sono tanti gli effetti negativi 'indiretti' che la pandemia si è portata con sé, molti quelli che si sono riversati sulla salute delle persone. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Hypertension, finanziato dal Sistema Sanitario Inglese (NIH), ha fatto luce sugli effetti del Covid-19 sulle persone con ipertensione, le quali hanno visto un aumento dei livelli di pressione sanguigna durante la pandemia. Aumento che, parallelamente, ha visto la misurazione della pressione ridursi notevolmente. Tuttavia, sottolineano gli esperti, l'utilizzo della telemedicina ha permesso di arginare i possibile effetti negativi.

Cosa dice la ricerca

 

La pressione alta colpisce oltre un miliardo di persone nel mondo. Questa è un fattore di rischio non solo per le forme di Covid più gravi, ma anche per infarto e ictus. Esaminando i dati elettronici di 137.593 adulti - d’età media 66 anni - con ipertensione, i ricercatori hanno effettuato confronti tra quelli registrati prima della pandemia (da agosto 2018 a gennaio 2020 ), e quelli registrati durante il picco (da aprile 2020 a gennaio 2021). I risultati sottolineavano come il numero delle misurazioni fosse diminuito in modo significativo nei primi tre mesi della pandemia, fino al 90% rispetto al pre-Covid: una diminuzione causata in parte della riduzione delle visite, che - pur riaumentando leggermente in seguito - non è più riuscita a raggiungere i livelli iniziali.

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Le parole dei ricercatori

 

Di pari passo, invece, i ricercatori hanno osservato che era aumentata sia la pressione massima, che la minima dei pazienti. Probabilmente "a causa della diminuzione dell'attività fisica, dello stress, del sonno e di altri fattori di rischio di malattie cardiovascolari peggiorati in pandemia", ha affermato Hiroshi Gotanda, assistente professore presso il Cedars-Sinai Medical Center e primo autore dello studio. Tuttavia, ha aggiunto Gotanda, "i risultati sono stati migliori di quanto ci aspettassimo", probabilmente "grazie alla telemedicina e al monitoraggio a domicilio". Un fattore che ha permesso di individuare il problema e intervenire rapidamente con le terapie. “Un aspetto di cui tener conto per il futuro”, ha concluso l’esperto. I dati presi in esame dai ricercatori provenivano da tre grandi sistemi sanitari degli Usa: dal Cedars-Sinai a Los Angeles, dal Centro medico Irving della Columbia University di New York e dall'Ochsner Health a New Orleans.

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