Alzheimer, scoperta una nuova molecola che rallenta la malattia

Salute e Benessere

Studiata in un modello animale, la molecola apre a nuovi scenari per la cura della forma di demenza più comune nell’uomo. Lo studio 

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Un nuovo studio tutto italiano dà speranza nella cura dell’Alzheimer, la più comune forma di demenza in età avanzata nell’uomo, tuttora incurabile. Realizzata dai ricercatori della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, in collaborazione con i colleghi dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, la ricerca è stata pubblicata sulla rivista Molecular Psychiatry.

Cosa dice lo studio

Somministrata per via intranasale, la molecola scoperta dai ricercatori inibisce il deposito e gli effetti tossici di una delle due proteine che causano l’Alzheimer. Negli approcci terapeutici messi appunto finora, non si era ancora riuscito ad identificare un composto capace di contrastare la malattia, né di contenerla. Decenni di studi hanno dimostrato, però, che impedire, o rallentare, la formazione di aggregati della proteina beta-amiloide e la proteina tau - fondamentali per la nascita della malattia -, non sono sufficienti per sconfiggere l’Alzheimer. Al fine di eliminarla, è importante inibire contemporaneamente gli effetti neurotossici delle due proteine. I ricercatori, grazie ad una scoperta antecedente, sono riusciti ad identificare una variante naturale della proteina beta amiloide, la quale protegge i soggetti portatori dallo sviluppo dalla malattia. Studiandola in un modello animale - il topo, per l’esattezza -, i ricercatori sono riusciti successivamente a sintetizzare la molecola oggetto dello studio.

From the series Forget Me Not (2014-2019) by Anne Moffat.

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Le parole dei ricercatori

“Gli esperimenti hanno dimostrato che la somministrazione per via intranasale del peptide, in una fase precoce della malattia, è efficace nel proteggere le sinapsi dagli effetti neurotossici della beta-amiloide oltre che nell’inibire la formazione di aggregati della stessa proteina, responsabili di gran parte dei danni cerebrali nell’Alzheimer, e nel rallentare il deposito della beta-amiloide sotto forma di placche nel cervello. Inoltre, il trattamento sembrerebbe non indurre eventi collaterali che derivano da un’anomala attivazione del sistema immunitario, riscontrati in altre potenziali terapie per l’Alzheimer. Questi effetti multipli costituiscono pertanto una combinazione apparentemente vincente nell’ostacolare lo sviluppo della malattia nei topi”, hanno commentato il dottor Fabrizio Tagliavini e il dottor Giuseppe Di Fede, neurologi del Besta, che hanno condotto lo studio. Mario Salmona, biochimico dell’istituto Mario Negri, ha infine aggiunto: “Gli ulteriori vantaggi di questa strategia riguardano i bassi costi di produzione del piccolo peptide, in confronto agli elevatissimi costi di altri approcci terapeutici potenziali per l’Alzheimer come gli anticorpi monoclonali, la semplicità e la scarsa invasività del trattamento per via intranasale, peraltro già utilizzato con successo per altre categorie di farmaci”.

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