Covid, dai no vax ai vaccinati fragili: chi sono i pazienti adesso in terapia intensiva
Non solo chi ha rifiutato l’immunizzazione e chi ha altre patologie, in rianimazione - spiega Antonello Giarratano, presidente della Società Scientifica Italiana degli Anestesisti Rianimatori e Terapisti del Dolore - arrivano anche persone che scoprono di essere positive solo una volta che sono state ricoverate per altri motivi, ad esempio dopo un incidente: “Lavoriamo anche per capire le differenze fra i tassi di occupazione nelle diverse regioni”
Non vaccinati, persone fragili con altre patologie e chi scopre di essere positivo solo una volta arrivato in ospedale per altri motivi. Sono queste le tre tipologie di pazienti che per la maggior parte occupano le terapie intensive a causa del Covid
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“Lo scenario nelle terapie intensive è cambiato. Oggi abbiamo tre tipologie di pazienti con Covid-19”, spiega all'Ansa è Antonello Giarratano, presidente della Società Scientifica Italiana degli Anestesisti Rianimatori e Terapisti del Dolore (Siaarti)
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Fra questi “i no vax che arrivano anche con polmoniti molto gravi e hanno subito bisogno di supporto respiratorio, che arriva in alcuni casi all'ECMO o circolazione extra corporea”
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“Poi abbiamo una seconda categoria - prosegue Giarratano - rappresentata da pazienti fragili vaccinati, come chi soffre di insufficienza cardiaca, respiratoria o renale, cirrosi epatica, diabete, ma anche malati oncologici"
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Senza tripla vaccinazione, spiega Giarratano, "avremmo avuto un 80% di mortalità in questo gruppo di pazienti in cui oggi l'infezione da Sars-Cov-2, pur non manifestandosi polmoniti gravi, produce un aggravamento della disfunzione d'organo precedentemente presente e la terapia intensiva supporta la disfunzione dell'organo”
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C'è poi una terza tipologia di pazienti con Covid, dice Giarratano, “che arrivano in intensiva e sono sostanzialmente chi va incontro a problemi gravi di salute come ictus o incidenti, e, nel momento in cui viene ammesso in terapia intensiva, si rileva che è positivo per il Covid-19, e comunque deve stare in reparti isolati ad hoc per positivi"
“Oggi abbiamo un tasso d'occupazione delle intensive a livello nazionale molto basso rispetto allo scorso anno, pari al 5% dei posti disponibili - aggiunge il presidente Siaarti - Ma in alcune regioni, come Calabria e Sardegna, arriva e supera il doppio del valore nazionale e questo può esser collegato anche ai diversi modelli organizzativi regionali”
"Siamo al lavoro, anche in collaborazione con l'Istituto superiore di Sanità (Iss) - prosegue Giarratano - per capire se le percentuali più elevate sono correlate alla prevalenza di una tipologia di pazienti più fragili sul territorio regionale e quindi a fattori clinici, o se possa esser collegato a carenze e modelli organizzativi diversi”
“Ad esempio - spiega - alla presenza di pochi posti letto anche in terapia sub intensiva nella regione, cosa che impone di trasferire questi pazienti Covid direttamente in intensiva. Purtroppo, ogni regione adotta modelli organizzativi autonomi rispetto al numero di posti dedicati"
Secondo Giarratano sembra essere "rientrato il problema di chi non vuol essere intubato, anche perché i numeri inferiori di pazienti che vi arrivano permettono rapporti più sereni e maggior dialogo con gli operatori sanitari"
Ma non è invece diminuito lo stress degli operatori sanitari: "Seppure la mole di lavoro non ha più quei ritmi forsennati dello scorso anno, comunque, - conclude Giarratano - soprattutto in alcune strutture più grandi che fanno da riferimento per i pazienti Covid-19 a un ampio territorio, lo stress di dover lavorare totalmente bardati, su pazienti a elevata mortalità, aumentando il rischio di contagio per se stessi e i propri cari, c'è ancora. E ormai si prolunga da tanti, troppi mesi"