Si tratta di uno dei dati emersi nell’ambito della campagna “Stop Pneumonia”, promossa dalla coalizione globale “Every Breath Counts Coalition” per far luce sulla malattia, un'infiammazione acuta del tessuto polmonare causata principalmente da infezioni dovute a batteri, in particolare lo pneumococco e da virus, come quello sinciziale, influenzale o anche dal Sars-Cov-2
Il 12 novembre ricorre la Giornata mondiale della polmonite e, per far luce sulla malattia, è attiva la campagna internazionale “Stop Pneumonia”, promossa dalla coalizione globale “Every Breath Counts Coalition”. Gli esperti segnalano che, solo nel 2019 le polmoniti hanno causato la morte di 2,5 milioni persone, tra cui 672.000 bambini, soprattutto nei Paesi più poveri del mondo. Ma i numeri aumentano considerando, nel 2020, la pandemia di Covid che ha fatto sommare quasi 2 milioni di decessi, portando il totale ad oltre 4 milioni di vittime in un anno. Nessun'altra infezione, secondo gli specialisti, è legata ad una mortalità così cospicua e, tra i principali fattori di rischio, è stato inserito anche l'inquinamento atmosferico, proprio in questi giorni al centro delle discussioni grazie al summit Cop 26.
Cos’è la polmonite
Ma che cos’è la polmonite? Ne ha parlato approfonditamente Luca Richeldi, professore ordinario delle malattie dell'apparato respiratorio presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma), in un’intervista concessa all’agenzia Ansa. Si tratta, ha spiegato, di “un'infiammazione acuta del tessuto polmonare causata principalmente da infezioni dovute a batteri, in particolare lo pneumococco, e da virus, come quello sinciziale, influenzale, rinovirus e coronavirus, incluso il Sars Cov-2”. Tra i sintomi tipici della malattia si possono annoverare “febbre, tosse e dolore al petto”, ma la polmonite “può comportare difficoltà a respirare, sepsi e complicanze cardiache”, ha riferito Richeldi. Tra l’altro, come confermato dall’esperto, malattie come queste sono spesso difficili da curare “perché un numero crescente di quelle acquisite durante i ricoveri in ospedale, come le polmoniti nosocomiali, sono provocate da patogeni resistenti agli antibiotici, come klebisella pneumonie, pseudomonas, acineto bacter e stafiloccco aureo, pertanto legate a un elevata mortalità”, ha aggiunto.
Come prevenire la malattia
Secondo le stime, nel mondo, ogni 13 secondi una persona muore di polmonite e ogni 47 secondi a decedere è un bambino sotto i 5 anni. Ma la malattia, di cui si è discusso molto anche grazie all’emergenza coronavirus, se diagnosticata e trattata in fase precoce, può essere evitata e affrontata con l’ausilio dei vaccini, dei farmaci, ma anche con igiene delle mani e degli ambienti. Sebbene, tutt’oggi, a livello globale un bambino su 2 non riceva il vaccino contro lo pneumococco sin dalla nascita ed uno su 3 con sintomi da polmonite non è diagnosticato nè curato.
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Il legame con l’inquinamento atmosferico
Come detto, uno dei fattori di rischio può essere l’inquinamento atmosferico. La salute dei polmoni, infatti, può essere condizionata dalla qualità dell'aria che viene respirata. “L'inquinamento atmosferico è il principale fattore di rischio di polmoniti, perché riduce l'efficacia delle protezioni naturali dell'organismo”, ha confermato ancora Richeldi. E, proprio secondo la “Every Breath Counts Coalition”, circa un terzo di tutti i decessi per polmonite è legata all'aria inquinata, con quasi 749.200 vittime nel 2019. Ancora una volta i bambini sono i soggetti maggiormente suscettibili, considerando l'inquinamento atmosferico domestico generato, ad esempio, dal fumo delle sigarette. Mentre gli inquinanti emessi dalle industrie e dagli scarichi delle auto possono compromettere maggiormente la salute respiratoria soprattutto tra gli anziani. Anche per questo motivo la Giornata mondiale della polmonite 2021 punta i fari sull'inquinamento, con un appello specifico ai governi mondiali: quello di intraprendere un'azione mirata sul tema. Senza dimenticare un altro fattore, ovvero quello relativo alla carenza di ossigeno, un'emergenza esplosa con la pandemia Covid, per cui ad oggi 39 Paesi sono considerati a rischio.