Individuato messaggio di stress che le cellule adipose inviano al cuore

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Lo hanno sottolineato i ricercatori dell'Università del Texas Southwestern in uno studio sui topi che potrebbe aprire nuove porte nell’ambito della lotta all’obesità. E potrebbe anche spiegare il “paradosso dell'obesità”, un fenomeno riscontrato tra le persone obese che hanno migliori prognosi di malattie cardiovascolari a breve e medio termine ma non a lungo termine

Una sorta di messaggio “sos”, ovvero un segnale di stress ricevuto dal cuore direttamente dalle cellule adipose e che potrebbe aiutare a proteggere dai danni cardiaci causati dall'obesità. E’ quello che hanno individuato i ricercatori dell'Università del Texas Southwestern, in uno studio i cui risultati sono stati pubblicati all’interno della rivista scientifica “Cell Metabolism”.

I dettagli dello studio

In particolare, grazie ad una tecnica genetica specifica e ad un lavoro di analisi condotto sui topi di laboratorio, gli studiosi hanno notato che le cellule adipose degli animali hanno iniziato a inviare alcuni messaggi, sotto forma di vescicole extracellulari contenenti piccoli pezzi di mitocondri, organelli addetti alla respirazione cellulare, morenti. Alcuni di questi frammenti mitocondriali si sono mossi attraverso il flusso sanguigno giungendo fino al cuore ed innescando un processo definito “stress ossidativo”, uno stato in cui le cellule generano radicali liberi dannosi per l’organismo. Per contrastare tale fenomeno, come riscontrato dagli esperti, le cellule del cuore producono molecole protettive antiossidanti. E attraverso altri studi basati sul tessuto adiposo prelevato da pazienti obesi, gli stessi esperti hanno notato che queste cellule rilasciano anche vescicole extracellulari piene di mitocondri. Dato che potrebbe spiegare come quanto avviene nei topi possa replicarsi anche negli esseri umani. Tra le conclusioni cui sono arrivati gli esperti, quella secondo cui imparare a generare in maniera artificiale il meccanismo protettivo identificato nello studio, possa condurre a nuove metodologie per arginare le conseguenze negative associate all'obesità.

Una capacità difensiva e preventiva del cuore

Secondo gli studiosi americani, dunque, questa ricerca potrebbe aiutare a spiegare un meccanismo particolare, il cosiddetto “paradosso dell'obesità”, un fenomeno riscontrato tra le persone obese che hanno migliori prognosi di malattie cardiovascolari a breve e medio termine rispetto a pazienti non obesi. Questa condizione, però, può letteralmente ribaltarsi se considerata a lungo termine. Come spiegato da Clair Crewe, tra le ricercatrici dello studio, lo stress metabolico legato all'obesità può rendere disfunzionale, con gradualità, il tessuto adiposo, innescando anche la morte dei suoi mitocondri, organelli cellulari deputati alla produzione di energia. Questa porzione di tessuto adiposo, così facendo, perde la propria capacità di immagazzinare i lipidi generati dalle calorie in eccesso nel cibo, “avvelenando” altri organi attraverso la lipotossicità, un danno ai tessuti non progettati per l'accumulo di acidi grassi. Ma, secondo gli studiosi, alcuni organi, tra cui proprio il cuore, sembrano possedere una capacità difensiva e preventiva per proteggersi da tale meccanismo.

SEATTLE, WA - DECEMBER 11: Dr. Jesse Erasmus checks a serum sample he diluted under a microscope in a microbiology lab at the University of Washington School of Medicine on December 11, 2020 in Seattle, Washington. The serum samples were collected from animals that received a replicon, or replicating, RNA vaccine that's being developed to combat Covid-19 (SARS-CoV-2). Scientists are hoping this nucleic acid vaccine will only need one dose to be effective against the coronavirus and that it won't need to be stored in a deep freeze. This replicon RNA vaccine has been tested on mice and macaque monkeys and is in early stage clinical development with HDT Bio who will be leading the clinical trials of it in the United States. The serum samples Dr. Erasmus is working on will help determine the quantity of neutralizing antibodies. (Photo by Karen Ducey/Getty Images)

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