Grazie ad uno studio tutto italiano, realizzato presso la Città della Salute di Torino, è stato possibile far nuova luce su una metodica orientata a riconoscere il rigetto, post trapianto, in maniera semplice, veloce e accurata. Si tratta dell'analisi del Dna del donatore che circola libero nel sangue del ricevente
Tra le più pericolose complicazioni legate al trapianto di cuore, terapia avanzata dedicata ai pazienti con gravi malattie cardiache, la più temibile è rappresentata dal rigetto, cioè quella risposta immunitaria del ricevente che riconosce come estraneo il nuovo organo trapiantato. Uno studio tutto italiano, realizzato presso la Città della Salute di Torino e pubblicato sulla rivista scientifica “Journal of Heart and Lung Transplantation”, può far nuova luce su una nuova metodica per riconoscere proprio il rigetto, in maniera più semplice e veloce ed altrettanto accurata rispetto a quelle oggi consolidate. Si tratta dell'analisi del Dna del donatore che circola libero nel sangue del ricevente.
Una tecnica meno invasiva
Lo studio, frutto della collaborazione di tre strutture dell'ospedale Molinette di Torino, ovvero il Centro Trapianti di cuore, il Servizio di Anatomia patologica ed il Servizio di Immunogenetica, è partito dal dato secondo cui almeno un paziente su tre “rischia di avere un episodio di rigetto acuto durante il primo anno”, come si legge in un comunicato diffuso online. Proprio per questo motivo, ogni singolo trapianto di cuore, ma non solo, viene monitorato con particolare attenzione, con l’obiettivo di individuare i primi segni di rigetto e, di conseguenza, attuare una terapia mirata. Nel caso dei trapianti cardiaci, in cui il rigetto è piuttosto temuto dai medici, il metodo standard consiste nella "biopsia endomiocardica", che permette, attraverso una sonda inserita nei vasi che arrivano al cuore, di raccogliere una piccola parte del muscolo cardiaco, poi analizzata al microscopio per evidenziarne le alterazioni. Si tratta di una pratica invasiva, complessa e che può prevedere anche alcuni rischi per il paziente.
L’importanza del Dna
Ora, grazie a questo studio, eseguito su circa 30 riceventi di trapianto di cuore, è stato possibile “dimostrare come un semplice prelievo di sangue, al posto della più complessa biopsia endomiocardica, consenta di riconoscere in maniera veloce ed affidabile la presenza del rigetto nei nostri pazienti e di avviare precocemente le terapie per combatterlo”, come spiegato da Massimo Boffini, cardiochirurgo del Centro di Trapianto cardiaco universitario delle Molinette. “Nel caso dei trapianti, come per ogni disciplina medica, la diagnosi precoce permette di avviare tempestivamente ed in maniera più efficace la giusta terapia”, ha commentato. A sottolineare poi i dettagli della ricerca, anche Silvia Deaglio, genetista dell'Università di Torino e medico del Servizio di Immunogenetica e Biologia dei Trapianti dell'ospedale Molinette. "Il Dna non si trova soltanto dentro le cellule, ma può essere presente in piccoli frammenti anche nel sangue. Lo studio del Dna libero circolante fetale nel sangue materno ha già trovato da tempo applicazioni nella diagnosi prenatale non invasiva di malattie genetiche fetali”, ha spiegato l’esperta. “Nella nostra ricerca abbiamo applicato le tecnologie di analisi del Dna libero circolante alla medicina dei trapianti, dimostrando che l'aumento del Dna derivato dall'organo trapiantato nel sangue del ricevente è un biomarcatore specifico di rigetto. Il suo aumento è infatti correlato al danno delle cellule del trapianto, causato dalla risposta immunitaria del rigetto", ha poi aggiunto.