Alzheimer, come diagnosticarlo due anni prima dell’esordio: lo studio

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Lo hanno sottolineato i ricercatori dell'IRCCS Santa Lucia di Roma, insieme agli studiosi dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, dell'Università di Torino e di quella di Cardiff. Al centro dello studio l’area tegmentale ventrale (VTA), legata alla produzione di dopamina, una parte del cervello molto piccola, che conta circa 600-700mila neuroni

Circa due anni prima del suo esordio, il morbo di Alzheimer è individuabile grazie ad un danno a una piccola parte del cervello non direttamente legata alla demenza, l'area tegmentale ventrale (VTA), significativa per la produzione di un neurotrasmettitore, la dopamina. A sottolinearlo, uno studio condotto dai ricercatori dell'IRCCS Santa Lucia di Roma, insieme agli studiosi dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, dell'Università di Torino e di quella di Cardiff.

Il legame tra la malattia e le compromissioni dei circuiti dopaminergici

Lo studio, pubblicato sulla rivista “Journal of Alzheimer's Disease” ha potuto dunque dimostrare il legame che intercorre tra l'Alzheimer e le compromissioni dei circuiti dopaminergici in pazienti che soffrono di un disturbo cognitivo lieve, soggetti che risultano già ad alto rischio di ammalarsi di demenza. Questa scoperta, si legge in una nota, “anticipa di circa due anni i danni ad altre aree del cervello e la comparsa dei primi sintomi clinici, una finestra temporale all’interno della quale è possibile l’utilizzo di farmaci volti a contrastare l’evolvere della malattia”, la prima causa di demenza nella popolazione italiana che coinvolge circa 600.000 persone. Attualmente, dicono i ricercatori, le poche terapie approvate per contrastarne l’evoluzione sembrano essere efficaci solo nelle primissime fasi della malattia e, proprio per questo, la “ricerca in neuroscienze riveste un ruolo centrale nell’ individuazione dei meccanismi patologici sottostanti la malattia di Alzheimer”.

Cos’è la VTA  

Lo stesso di team di esperti coinvolti in questa ricerca, tra l’altro, aveva individuato già nel 2017 nell’area tegmentale ventrale (VTA), legata alla produzione di dopamina, uno dei primi eventi legati allo sviluppo della malattia, mediante l’utilizzo di modelli sperimentali. “La VTA è un'area molto piccola, che conta circa 600-700mila neuroni, rispetto agli oltre 80 miliardi di neuroni presenti nel cervello umano”, ha sottolineato Marcello D’Amelio, responsabile del laboratorio di neuroscienze nolecolari del Santa Lucia e coordinatore dello studio. In particolare, ha aggiunto, il lavoro “si è focalizzato sulle connessioni che si stabiliscono tra la VTA e il resto del cervello. Il risultato, frutto di anni di ricerca, è stata la sorprendente capacità che lesioni della VTA hanno nel predire lo sviluppo della malattia di Alzheimer e l'obiettivo di quest'ultimo lavoro è stato di comprendere la finestra temporale che un'analisi della VTA è in grado di offrire prima che si sviluppino i sintomi della malattia”, ha detto ancora.

I dettagli dello studio

Ma come si è arrivati a queste conclusioni? Lo ha spiegato la dottoressa Laura Serra, altro autore dello studio, segnalando che i ricercatori si sono serviti di “neuroimmagini funzionali e test neuropsicologici, due tecniche indolori e non invasive con cui abbiamo analizzato l’attività della VTA in 35 pazienti con disturbo cognitivo lieve, un importante fattore di rischio per lo sviluppo della malattia di Alzheimer e di altre forme di demenza”. Gli studiosi, poi, hanno monitorato per 24 mesi la condizione dei pazienti, evidenziando come, “nell’arco dei primi due anni di osservazione, in 16 dei 35 pazienti il disturbo cognitivo lieve è convertito in malattia di Alzheimer, e questa conversione è stata anticipata da una significativa riduzione della connettività della VTA verso zone cerebrali critiche per i sintomi della malattia” Invece, nei pazienti che non hanno sviluppato la malattia, “la VTA ha mantenuto inalterata la sua funzione”, ha detto.

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