Covid e depressione, l’impatto psichiatrico delle forme gravi

Salute e Benessere

Nadia Cavalleri

Il nuovo studio di Ospedale San Raffaele mostra l’impatto psichiatrico delle forme gravi di COVID-19 a tre mesi dalla dimissione e il suo legame con l’infiammazione

Depressione, ansia, insonnia e sindrome da stress post-traumatico. A tre mesi dalle dimissioni circa un terzo dei pazienti ricoverati per Covid-19 continua a soffrire di disturbi psicopatologici. La depressione, in particolare, è quella che persiste maggiormente nel tempo e la sua gravità è strettamente legata all’intensità dello stato infiammatorio sistemico che segue le forme gravi di Covid-19, anche per mesi dopo la guarigione. E’ questo il risultato di uno studio di Ospedale S. Raffele che però porta con sé anche una buona notizia: i pazienti con queste forme depressive, risultano particolarmente responsivi alle terapie psicologiche e farmacologiche a disposizione.

Lo studio su 226 pazienti

Si tratta della prosecuzione di una ricerca pubblicata dal gruppo dello psichiatra Francesco Benedetti (Group leader dell’Unità di ricerca in Psichiatria e psicobiologia clinica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore associato presso l’Università Vita-Salute San Raffaele) ad agosto 2020, che aveva descritto per la prima volta le conseguenze psichiatriche di Covid-19 a un mese dalle dimissioni. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Brain, Behavior and Immunity,  è stato condotto su 226 pazienti presi in carico dall'ambulatorio di follow up post COVID-19 istituito dall’Ospedale San Raffaele nel maggio 2020. L’ambulatorio prevede un percorso di controlli periodici con team multidisciplinari di medici internisti, infettivologi, neurologi, psichiatri, nefrologi e cardiologi, che si protraggono fino a 6 mesi dopo la dimissione.

Un paziente su tre soffre di un disturbo psicopatologico

 

Sulla base di interviste cliniche e questionari sono stati esaminati i sintomi psichiatrici di 226 pazienti (149 uomini, età media di 58 anni) a distanza di 3 mesi di follow-up dal trattamento ospedaliero per le forme gravi di Covid-19. Di questi, il 36% riporta sintomi di entità clinica nel questionario di auto-valutazione e il 24% rientra nei criteri DSM-5 a seguito della visita con lo specialista per almeno un disturbo maggiori tra depressione, ansia, PTSD e insonnia.

“A soffrire di più sono le donne e le persone con una precedente storia di disturbi psichiatrici, sebbene queste ultime siano anche quelle che hanno mostrato nel tempo il miglioramento maggiore, probabilmente perché hanno maggiore dimestichezza e disponibilità con le terapie, sia psicologiche sia farmacologiche,” afferma Francesco Benedetti. “Ma la cosa più interessante dei dati raccolti è che confermano la stretta relazione tra risposta del sistema immunitario, stato infiammatorio e persistenza dei sintomi depressivi”.

Depressione persistente

 

Rispetto agli altri disturbi riscontrati nei pazienti (ansia, PTSD, insonnia) – che hanno mostrato un sostanziale miglioramento nel corso dei tre mesi di follow-up, indipendentemente dal sesso e da una precedente storia psichiatrica dei soggetti – i sintomi depressivi sono risultati molto più persistenti nel tempo e in diretta correlazione con i valori dell’indice di infiammazione sistemica (SII), che può rimane elevato per mesi dopo la guarigione dall’infezione acuta.

Depressione e infiammazione correlano anche con una ridotta performance neuro-cognitiva dei soggetti, che è una tipica conseguenza degli stati depressivi: parliamo di ridotte capacità attentive, di memoria, di coordinamento psicomotorio e di fluenza del linguaggio che persistono durante la lunga convalescenza dalla malattia e condizionano un generale rallentamento nella velocità elaborazione cognitiva.

“Sappiamo bene che chi soffre di depressione maggiore presenta livelli più alti di citochine infiammatorie nel sangue, indipendentemente dall’avere avuto infezioni o malattie del sistema immunitario, e sappiamo che questo stato infiammatorio si associa alla riduzione dell’attività di alcuni neurotrasmettitori essenziali per il controllo delle emozioni, come la serotonina; sappiamo d’altra parte anche che forti stati infiammatori – anche in conseguenza a infezioni virali e batteriche – aumentano il rischio di episodi depressivi,” spiega il professor Benedetti. “Il Covid-19 è il paradigma di questo fenomeno e un’ulteriore conferma di decenni di ricerca in questo campo: se l’infiammazione non recede, nei mesi successivi alla malattia acuta può svilupparsi un episodio depressivo”.

Lo studio dà anche un messaggio positivo alle persone che hanno affrontato una forma grave di Covid-19 e che adesso soffrono di depressione. “Anche grazie al fatto che iniziamo a comprendere i meccanismi alla base di questi disturbi, le terapie a disposizione – psicologiche e farmacologiche – possono essere scelte in modo accurato e personalizzato, e risultano quindi particolarmente efficaci” conclude Benedetti.

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