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Tumori, i prioni possono renderli più aggressivi: lo studio

Salute e Benessere

A condurlo un team di studiosi dell’Università di Pisa, in collaborazione con l’Unità di Neurobiologia e dei Disturbi del Movimento dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (Isernia). Il lavoro ha aggiunto dati più recenti sul tema dei prioni, “proteine naturalmente presenti nelle nostre cellule, essenziali per la regolazione di molte attività”, documentando anche un possibile ruolo nella genesi e nella aggressività biologica del cancro

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Un'approfondita analisi, con l’aggiunta di dati recenti, è stata condotta per fare maggior luce su una delle più interessanti strade presenti nel campo dello studio dei tumori, ovvero quella che riguarda il ruolo svolto dai prioni nello sviluppo del cancro e nella sua diffusione. A svolgerla, guadagnando anche la copertina della prestigiosa rivista scientifica “Cancers”, un gruppo di studiosi dell’Università di Pisa, guidato da Luca Morelli, professore associato di Chirurgia generale, in collaborazione con l’Unità di Neurobiologia e dei Disturbi del Movimento dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (Isernia).

Il ruolo dei prioni

I prioni, si legge in un comunicato diffuso proprio sul sito dell’ateneo toscano, sono stati al centro dell’attenzione a cavallo del millennio, perché una loro forma alterata (PrPsc) è responsabile del morbo di Creutzfeldt-Jakob, quello della cosiddetta “mucca pazza”. Attualmente però, come ha rivelato lo studio in questione, il focus si sta spostando, sulla presenza di queste proteine in alcuni tipi di tumore, documentando anche un possibile ruolo nella genesi e nella aggressività biologica del cancro. “Si parla soprattutto di tumori del sistema nervoso centrale, come il glioblastoma multiforme, ma recentemente sono emerse evidenze anche per quanto riguarda tumori dell’apparato gastrointestinale, del seno, della prostata e del pancreas, per citarne solo alcuni”, dicono i ricercatori. “I prioni sono proteine naturalmente presenti nelle nostre cellule, essenziali per la regolazione di molte attività. Nel caso della mucca pazza sappiamo che queste proteine possono assumere forme anomale il cui accumulo causa la malattia”, ha spiegato Francesco Fornai, professore ordinario di Anatomia dell’Università di Pisa e Responsabile dell’Unità di Neurobiologia e dei Disturbi del Movimento del Neuromed. “Nel campo dei tumori, invece, il nostro gruppo di ricerca aveva evidenziato, come le proteine prioniche siano correlate alla malattia anche quando, pur conservano la conformazione fisiologica, quindi normali nella forma, sono iperespresse”, con l’informazione contenuta nel Dna che viene trascritta esageratamente, causando una produzione eccessiva, ha spiegato ancora l’esperto.

Una maggiore invasività

L’analisi condotta dai ricercatori dell’ateneo pisano e da quelli del centro Neuromed, hanno rilevato gli stessi studiosi, aggiunge “l’osservazione di una maggiore espressione anche della forma ‘misfolded’ (PrPsc), alterata strutturalmente, della proteina prionica”. Ma non è tutto, perché come ha aggiunto ancora Fornai, “l’iperproduzione di quest’ultima risulta essere ancora più marcata rispetto a quella della forma cosiddetta normale (PrPc). Si tratta di un passo in avanti nell’avvicinare la biologia dei tumori neurotropi, cioè caratterizzati da spiccata capacità di diffondersi attraverso il sistema nervoso, alla biologia delle malattie da prioni”. In quest’ottica, dunque, la presenza di quantità definite “anomale” di prioni nelle cellule tumorali potrebbe così indurre una maggiore invasività, una maggiore probabilità di ricadute oltre ad una più significativa resistenza alla chemioterapia, “soprattutto per le cellule cancerose staminali, quelle che andranno a formare le metastasi”. Secondo Fornai, infatti, “le proteine prioniche possano rappresentare un promettente punto di attacco per terapie innovative rivolte a limitare la capacità proliferativa delle cellule tumorali”. Inoltre, possono essere contemplate anche come “un marcatore per seguire i pazienti dopo l’asportazione di un tumore, in modo da individuare rapidamente la possibilità che si stiano formando metastasi e diffusione al sistema nervoso”, ha concluso Fornai.

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