Covid, secondo uno studio varia 100 volte meno dell’Hiv. È un bene per il vaccino
Salute e BenessereLo dimostra una ricerca coordinata da Rosaria Capobianchi, direttore del Laboratorio di Virologia dell'Istituto Spallanzani. “Non avrà risvolti di rilievo sullo sviluppo di vaccini efficaci, perché il virus non è così sfuggente da eludere facilmente la risposta immunitaria protettiva come avviene per l’Aids” spiega
Proprio come l'Hiv, il Covid è capace di mutare. Non solo da individuo a individuo ma anche nello stesso paziente. A differenza del virus che causa l’Aids, però, il nuovo coronavirus cambia in misura molto minore e questo è certamente un vantaggio durante la fase di sviluppo di un vaccino efficace. Lo sostiene Rosaria Capobianchi, docente di Biologia Molecolare dell'UniCamillus e direttore del Laboratorio di Virologia dell'Istituto Spallanzani.
La ricerca allo Spallanzani
"Sars-cov-2, come tutti i virus a Rna, ha un enzima di replicazione fallace e non preciso – spiega Rosaria Capobianchi – e ha quindi una variabilità che nell'organismo genera una 'quasi-specie', uno sciame di virus quasi uguali ma che presentano piccole variazioni fra loro. Lo abbiamo visto sia nel polmone sia nelle prime vie aeree respiratorie". "Su circa 10 pazienti col Covid-19 – aggiunge - abbiamo evidenziato la presenza di quasi-specie virale, ma la variabilità genetica del Covid è da 10 a 100 volte inferiore a quella riscontrata nel virus Hiv". “Non avrà risvolti di rilievo sullo sviluppo di vaccini efficaci, perché il virus non è così sfuggente da eludere facilmente la risposta immunitaria protettiva come avviene per l’Aids” conclude il direttore del Laboratorio di Virologia dell'Istituto Spallanzani, che è stato tra i primi al mondo a seguire questo approccio di ricerca, dimostrando le “quasi-specie” anche nei virus Hiv, dell'epatite e dell’influenza.
Una dimensione globale della sanità
Secondo l'esperta la pandemia da Covid-19 ha fatto emergere la necessità di “una nuova visione della scienza”. “È il concetto di "One Health-One World – spiega - che vuol dire che l'essere umano è un elemento di un sistema in cui a definire una situazione planetaria concorrono animali, microrganismi, ambiente e fattori sociali” “Nel 14esimo secolo l'avanzata dell'epidemia di peste nera ha impiegato 10 anni per raggiungere l'Europa, facendo un numero di vittime molto elevato: circa 20/25 milioni - aggiunge Capobianchi -. Oggi nel giro di poche settimane la nuova epidemia nata in Cina ha fatto il giro del mondo e ha raggiunto dimensioni planetarie”. "La pandemia ha dimostrato - conclude l'esperta - che le frontiere in sanità non esistono e ha sottolineato l'importanza di una formazione universitaria proiettata a creare professionalità in grado di affrontare epidemie ed emergenze sanitarie in tutto il mondo: ed è proprio questa la visione seguita da UniCamillus in tutto i suoi percorsi di studio".