Sla, i calciatori si ammalano di più ma non c'è legame con le squadre

Salute e Benessere
Immagine di archivio (Getty Images)

Un nuovo studio ha dimostrato che l’insorgenza della malattia neurologica e i team in cui i giocatori hanno militato. È stato svolto in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e con l'Associazione Italiana Calciatori (Aic) 

Come già dimostrato da un precedente studio, i calciatori corrono un rischio due volte maggiore (sei per i giocatori di serie A) di ammalarsi di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) rispetto alla popolazione generale. Nel corso di una nuova ricerca sul tema, un gruppo di ricercatori coordinato da Elisabetta Pupillo e da Ettore Beghi dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, ha dimostrato che non esiste una relazione tra l’insorgenza della malattia neurologica e le squadre in cui i giocatori hanno militato. I risultati ottenuti sono stati pubblicati sulle pagine della rivista specializzata Amyotrophic Lateral Sclerosis and Frontotemporal Degeneration. Lo studio è stato condotto in collaborazione con Nicola Vanacore dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss) e con l'Associazione Italiana Calciatori (Aic).

Il legame tra i calciatori e la Sla

I ricercatori hanno analizzato 23.586 calciatori, individuati tramite gli Almanacchi Panini, che hanno giocato nelle serie A, B e C dalla stagione 1959-’60 fino a quella del 1999-2000. Sono così riusciti a individuare 34 casi di Sla. I più colpiti dalla patologia sono i centrocampisti (15), seguiti dai difensori (9), dagli attaccanti (7) e dai portieri (3). “I dati definitivi ci dicono che le differenze sull’età d’esordio si confermano importanti”, spiega Ettore Beghi del Dipartimento di Neuroscienze dell’Istituto Mario Negri. “I calciatori si ammalano in media a 45 anni, cioè con 20 anni in anticipo rispetto al resto della popolazione. La motivazione purtroppo non è ancora chiara”, prosegue l’esperto.

Nessun legame tra la malattia e la squadra di appartenenza

“Lo studio conferma che non vi è alcuna associazione tra le squadre in cui i calciatori hanno militato e l’insorgenza della malattia”, spiega Elisabetta Pupillo Capo Epidemiologia delle Malattie Neurodegenerative dell’Istituto Ricerche Farmacologiche Mario Negri. “Altri studi condotti assieme a colleghi europei e americani ci fanno pensare che la causa non sia il gioco del calcio in sé, ma una serie di concause, ancora da definite. Tra queste il ruolo dei traumi, l’attività fisica intensa e una predisposizione genetica”, conclude Pupillo.

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