Un sondaggio svolto negli Stati Uniti, da ricercatori dell’Università della California, ha stabilito che il 67% dei pazienti ritiene giusto condividere i dati riguardanti il proprio stato di salute per contribuire alla ricerca scientifica
Fino a che punto i singoli pazienti sono disposti a condividere le proprie cartelle cliniche con ricercatori e istituzioni al di fuori del proprio medico personale o del sistema sanitario? E più specificamente quali informazioni i pazienti stessi sono più propensi a condividere? A cercare di rispondere a queste domande ci ha pensato uno studio condotto da ricercatori della School of Medicine di San Diego, presso l’Università della California.
I dati emersi dal sondaggio
Gli esperti hanno chiesto ai pazienti di due ospedali accademici di rispondere a una varietà di domande sul tema ed è emerso come oltre il 67% dei partecipanti al sondaggio ha dichiarato di voler condividere tutti gli elementi che compongono la cartella clinica, dai dati personali a quelli delle prestazioni sanitarie, con i ricercatori dell'istituto dove hanno chiesto assistenza, con percentuali progressivamente inferiori da condividere con altre istituzioni senza scopo di lucro o con altre istituzioni a scopo di lucro. Meno del 4% dei partecipanti ha dichiarato di non essere disposto a condividere alcuna informazione con nessuno. Parte degli intervistati invece ha dichiarato di essere disposto a condividere solo alcune informazioni ai fini della ricerca scientifica. I risultati della ricerca sono stati sono stati pubblicati sulla rivista Jama Network Open.
Il campione preso in esame
Il sondaggio è stato condotto in due ospedali accademici, ovvero l’UC San Diego Health e l’UC Irvine Health, tra l’1 maggio 2017 e il 31 settembre 2018. Su un totale di 1.800 partecipanti cui è stato sottoposto un questionario con domande relative al tema, 1.246 hanno completato il sondaggio sulla condivisione dei dati e sono stati inclusi nell'analisi e 850 hanno risposto a un sondaggio sulla soddisfazione dello stesso. Poco meno del 60% erano donne e poco meno dell'80% erano di razza bianca. L'età media era di 51 anni.
La situazione negli Usa
"Questi risultati sono importanti perché i dati di una singola istituzione ospedaliera sono spesso insufficienti per raggiungere un significato statistico nei risultati della ricerca", ha affermato l'autore senior dello studio, Lucila Ohno-Machado, presidente del Dipartimento di Informatica biomedica della UC San Diego Health. In generale, lo stato attuale della condivisione di dati sulla salute dei pazienti ‘anonimizzati’ (cioè senza riferimenti alla persona) per la ricerca secondaria è disomogeneo e instabile. È stato dimostrato che i metodi di anonimizzazione non sono efficaci al 100%. Dal 2013, i pazienti ammessi nelle strutture sono tenuti ad acconsentire in modo proattivo alla condivisione delle loro informazioni sanitarie personali per studi di ricerca o futuro uso secondario. In California, è richiesta l'autorizzazione specifica ai pazienti per condividere informazioni sulla salute mentale, sull'abuso di sostanze, lo stato dell'Hiv su informazioni genetiche, ma non sono stati specificati altri elementi o condizioni. In molti Stati, non è richiesta l'autorizzazione specifica di un paziente per questo tipo di ambiti prima che possano essere condivisi. Oggi, a fini pratici, i pazienti hanno la possibilità di rifiutare che qualsiasi parte della loro cartella clinica possa essere utilizzata per la ricerca. E non possono nemmeno indicare quali tipi di ricerca o di ricercatori dovrebbero essere in grado di studiare le loro cartelle.