"Numeri - La sfida del voto": la partita aperta sul rigassificatore di Piombino

Politica
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L’amministrazione della città toscana ha chiuso ancora una volta all’ipotesi di ospitare nel suo porto l’infrastruttura, considerata strategica dal governo per raggiungere l’indipendenza energetica da Mosca. Cosa succederebbe se il progetto sfumasse definitivamente? Questo il tema principale al centro della puntata di “Numeri - La sfida del voto", nuovo format di Sky TG24 dedicato alle imminenti elezioni politiche, in onda dal lunedì al venerdì dalle 18.30 alle 19:00

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Il Comune di Piombino dice ancora una volta 'no' al rigassificatore che il governo vorrebbe portare nel suo porto entro marzo 2023. Ieri, 19 settembre, si è tenuta una conferenza dei servizi a cui hanno partecipato oltre 30 enti, ma la situazione non si è sbloccata: l’amministrazione comunale non è ancora convinta del progetto. Palazzo Chigi guarda ai rigassificatori come a un modo per raggiungere l’indipendenza energetica da Mosca e aiutare il Paese a far fronte al caro bollette grazie a un aumento delle quantità di gas disponibili. Cosa succederebbe se il progetto sfumasse definitivamente? Questo il tema principale al centro della puntata di “Numeri – La sfida del voto”, nuovo format di Sky TG24 dedicato alle imminenti elezioni politiche, in onda dal lunedì al venerdì dalle 18.30 alle 19:00
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Cosa succederebbe senza il rigassificatore di Piombino

Se entro marzo 2023 a Piombino non arrivasse alcun rigassificatore, secondo Snam – che si occuperebbe del progetto – bisognerebbe aspettare almeno il 2024 per avere un’infrastruttura simile. I tempi sono però stretti. Il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha annunciato che nel 2023 dovrebbero arrivare otto miliardi di metri cubi in più di gas liquefatto. Il problema è che i tre rigassificatori esistenti a oggi riuscirebbero a operare solamente con altri quattro miliardi di metri cubi di gas liquido in più rispetto ai rifornimenti con cui lavorano. Senza il rigassificatore di Piombino non si saprebbe quindi come gestire il surplus di energia in arrivo.

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C'è poi un altro problema. Qualora Mosca decidesse di tagliare definitivamente le scorte di gas all’Italia, anche contando le maggiori entrate di energia da altri Paesi, Roma resterebbe scoperta per circa 5 miliardi di metri cubi di gas. “In questi mesi il governo ha aumentato i flussi di gas in arrivo dove già esistevano infrastrutture con capacità inutilizzata, dai gasdotti ai rigassificatori”, spiega Michele Polo, esperto di politica energetica e professore dell’Università Bocconi. “Se non aggiungiamo altre infrastrutture - continua Polo - rimarremo in una situazione di grande pericolo, sostanzialmente appesi a quanto dal rubinetto russo ci arriverà o potrebbe non arrivarci”.

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Rigassificatori, cosa succede negli altri Paesi?

Cosa succede intanto negli altri Paesi? La Germania, uno dei Paesi che guardano con più preoccupazione all'ipotesi del taglio di rifornimenti da Mosca, non avrà nemmeno un rigassificatore. In Olanda, nel porto di Eemshaven, lo scorso 8 settembre è invece arrivato un primo carico di gnl dagli Stati Uniti. La firma dei contratti necessari da parte del governo dei Paesi Bassi è stata posta a luglio 2022. In due mesi il Paese è quindi riuscito a far diventare operativo il nuovo rigassificatore. Si attende l’arrivo di 18 carichi entro il 31 dicembre 2022, per un totale di 8 miliardi di metri cubi di gas, che andranno per metà alla Repubblica Ceca. Se è vero che il porto di Eemshaven è lontano da città e centri abitati, e quindi non può essere paragonato a Piombino, la rapidità dei tempi con cui si è mossa l’Olanda - uno dei Paesi produttori di gas in Europa - dimostra l’importanza che il tema ha nelle varie cancellerie europee. 

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Il price cap al gas

I Paesi Bassi sono anche uno degli Stati europei che più si oppongono all’idea di un tetto al prezzo del gas. “Per l’Olanda – spiega Polo - la scelta è legata al fatto che fissare un price cap andrebbe a spegnere il suo grande mercato del gas, il Ttf di Amsterdam”. La Germania, altro Stato contrario al price cap, “vive di importazione. Noi abbiamo sostanzialmente cinque punti di ingresso del gas e i tre rigassificatori, Berlino può invece principalmente contare sui punti d’ingresso dalla Russia. Il suo timore è che un'imposizione troppo netta di un cap porti a una drastica riduzione degli approvvigionamenti”, dice Polo.

Altre fonti energetiche

Un’altra via per raggiungere l’indipendenza energetica da Mosca è puntare sulle rinnovabili. Nell’ultimo anno, in Italia è aumentata di molto la loro potenza installata. Ci si aspetta di raggiungere i cinque gigawatt nel 2022 e gli otto gigawatt nel 2023. Bisognerò però vedere se a queste cifre corrisponderà un’effettiva produzione di energia, al di là dell’installazione degli strumenti necessari per farlo. Confindustria Rinnovabili stima infatti che entro l’anno si riusciranno a ottenere non 5 gigawatt, ma circa la metà.

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L'Ungheria e i fondi dall'Ue

Oltre che di energia, negli ultimi giorni in Europa si discute di quanto successo all’Ungheria. Bruxelles minaccia di tagliare 7 miliardi di euro di fondi a Budapest, considerata uno Stato poco democratico e trasparente: non si vuole dare risorse provenienti dai contribuenti a un Paese dove la corruzione è alta e il sistema degli appalti fumoso. Budapest, ogni anno, dall’Europa ha ricevuto fondi per circa il 3% del suo Pil. Per fare un paragone, l’Italia ne ha incassati per il valore dello 0,7% del Pil. Al contrario, guardando ad esempio al 2017, l’Italia aveva però versato all’Ue quattro miliardi di euro in più di quelli ricevuti. Budapest ne aveva ricevuti invece tre in più di quelli versati. L’Ungheria ha promesso che si muoverà per soddisfare le richieste europee, pur chiedendo tempi più lunghi dei due mesi previsti per intervenire. La posta in gioco è alta. Per l’economia di Budapest sette miliardi di euro valgono quanto 88 miliardi di euro in quella italiana.

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