Draghi bruciato due volte. Chi ne risponderà?

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Giuseppe De Bellis

Giuseppe De Bellis

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Prima la corsa al Colle, ora giù da Palazzo Chigi. La politica ha consumato la sua vendetta nei confronti di un leader che non ha mai riconosciuto come tale. Ma ora dovrebbe spiegare agli italiani perché. L’editoriale del direttore di Sky TG24

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Una domanda, la più semplice di tutte: come si sentono dopo aver bruciato il miglior italiano su piazza? Perché è questo che è accaduto. Due volte: durante la corsa al Colle e adesso che l’hanno buttato giù da Palazzo Chigi. Vista l’evoluzione imbarazzante per mano di un pezzo della maggioranza che ha avuto la fine dell’esperienza del governo dell’ex presidente della Bce è necessario tornare a gennaio scorso, quando gli stessi partiti che adesso hanno mandato a casa il presidente del Consiglio dicevano che era necessario e fondamentale lasciarlo lavorare per completare ciò che aveva cominciato al governo. Dove è quella necessità? Sepolta da interessi elettorali, che non si curano delle esigenze del Paese. Attenzione, all’epoca l’Italia era messa molto meglio di oggi: non c’era la guerra con tutte le sue conseguenze economiche e sociali, non c’era l’inflazione ai massimi da decenni, non c’era alle porte la recessione.  

Ora dovrebbero spiegare agli italiani perché gli hanno negato di avere al Colle un totem, che avrebbe svolto il ruolo migliore possibile: essere la garanzia della credibilità del nostro Paese, con qualunque governo avesse a quel punto governato e poi con qualunque maggioranza uscita dalle elezioni e legittimata a governare per i prossimi anni.  

L’hanno voluto tenere a Palazzo Chigi, dovendo andare con il cappello in mano da Mattarella a chiedergli di restare, hanno tenuto un Draghi deluso al governo e poi quando ha deciso di continuare a fare Mario Draghi, non gli è andato più bene. Così hanno costretto a rinunciare ai servigi del più credibile e serio ombrello del nostro Paese per qualunque scenario geopolitico ed economico internazionale.  

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Nell’ultima settimana si è consumato ciò che si era aperto quel 24 gennaio. Draghi ha perso fiducia nel Parlamento, nelle forze politiche e anche un po’ in Mattarella; la politica ha consumato la sua vendetta nei confronti di un leader che non ha mai riconosciuto come tale. Ma c’è domanda numero due: che cosa pensavano, che Mario Draghi richiesto a gran voce per sistemare i danni dei governi gialloverde e giallorosso guidati da Giuseppe Conte, sarebbe rimasto vittima delle pressioni di questo o di quel partito?  

La conseguenza di tutto questo è che l’Italia adesso sarà un Paese più debole, meno credibile, di sicuro per i mesi che passeranno da qui alla formazione del nuovo governo post elezioni, ma forse anche oltre. Un pessimo affare non solo per gli italiani, ma paradossalmente anche per i partiti che hanno voltato adesso le spalle anche a Draghi a Palazzo Chigi.  

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Domanda numero tre: perché il centrodestra ha deciso di intestarsi la crisi e di essere di fatto il becchino del governo? Lega e Forza Italia potevano lasciare che fosse Conte che, avendo aperto la crisi per ragioni tattiche e personali, restasse l’aguzzino di Draghi decretando così anche la sua fine politica. Invece no: hanno deciso di essere loro a dare il colpo di grazia, pur sapendo che una parte dei loro colonnelli (alcuni ministri e leader regionali della Lega, tutti i ministri di Forza Italia) e anche del proprio elettorato tifava per la stabilità del Paese con il governo Draghi fino alla fine della legislatura. 

Draghi li ha infastiditi con il suo discorso? Posto che si ritorna al punto di prima (che cosa si aspettavano?), sarebbe una ragione troppo semplice. Più probabile che la motivazione sia doppiamente tattica: da un lato approfittare della debolezza del centrosinistra e del Pd (dopo la follia contiana) per monetizzare il più velocemente possibile al voto, dall’altro marcare Giorgia Meloni che, con il passare dei mesi avrebbe potuto giocare facilmente all’opposizione, crescendo ancora e quindi diventando sempre più l’azionista di maggioranza del centrodestra. Ma così, in un colpo solo, hanno coperto Conte e hanno anche rafforzato un Letta in difficoltà proprio per via della rottura del patto con i 5 stelle, mentre adesso può rivendicare con Renzi e Calenda di essere rappresentanti dell’Italia responsabile. E resta il rischio che per l'elettorato di centrodestra Giorgia Meloni appaia comunque più coerente. Al momento non sembra un capolavoro di strategia politica. 

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