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Oltre il caso Palamara

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Politica e giustizia nel report della SoG della Luiss

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La rimozione di Luca Palamara dall’ordine giudiziario da parte del Consiglio superiore della magistratura, decisa in seguito al cosiddetto scandalo delle nomine pilotate che nel giugno 2019 ha travolto l’organo di governo autonomo delle toghe, ha riacceso l’attenzione dell’opinione pubblica e della dottrina sul fenomeno delle degenerazioni delle correnti nella magistratura e nel Csm.


I recenti avvenimenti, seppur ancora al vaglio dell’autorità giudiziaria, sembrano infatti aver confermato il processo di involuzione vissuto negli ultimi decenni dalle correnti della magistratura associata, trasformatesi da organi di espressione del pluralismo culturale e ideologico delle toghe a veri e propri centri di potere. Sempre più penetrante è infatti divenuta l’influenza esercitata dalle correnti sul Csm, sia nella fase elettorale, sia nelle attività concrete svolte dal Consiglio riguardanti lo status dei magistrati (nomine, trasferimenti, promozioni, provvedimenti disciplinari).


In questo contesto, grande rilevanza pubblica ha avuto il duro discorso pronunciato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nelle vesti di presidente del Consiglio superiore della magistratura, al plenum straordinario del Csm tenutosi il 21 giugno 2019 all’indomani dell’emergere dello scandalo giudiziario. “Quel che è emerso, nel corso di un’inchiesta giudiziaria, ha disvelato un quadro sconcertante e inaccettabile”, ha affermato Mattarella: “Quanto avvenuto ha prodotto conseguenze gravemente negative per il prestigio e per l’autorevolezza non soltanto di questo Consiglio ma anche per il prestigio e l’autorevolezza dell’intero ordine giudiziario; la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia sono indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica”.


Il presidente della Repubblica ha poi condannato "il coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il Csm, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato”, una prassi che a sua opinione si manifesta “in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’ordine giudiziario e con quel che i cittadini si attendono dalla magistratura”.


Il durissimo intervento del presidente Mattarella è stato definito da alcuni osservatori “senza precedenti”. In verità, seppur le specifiche circostanze siano state certamente inedite (in particolare, per l’esplicito coinvolgimento nella vicenda di soggetti politici), quello di Mattarella non risulta essere il primo richiamo espresso da un presidente della Repubblica, nelle sue vesti di presidente del Csm, circa le degenerazioni del ruolo delle correnti nella magistratura e nell’organo di governo autonomo delle toghe.


Contrariamente all’impressione diffusa negli organi di informazione e nella dottrina,
il tema delle generazioni del “correntismo” è stato infatti al centro di richiami frequenti da parte di tutti i presidenti della Repubblica che si sono succeduti dalla fine degli anni Settanta, cioè da quando, in seguito a due cambiamenti istituzionali di grande rilievo (l’adozione del metodo proporzionale nell’elezione del Csm e lo smantellamento del tradizionale sistema di carriera), le correnti hanno cominciato a esercitare un’influenza di primo piano sull’attività svolta dal Csm.

Pertini e Cossiga

Già il 9 luglio 1981 Sandro Pertini, nel suo intervento in occasione dell’insediamento del nuovo Consiglio superiore, sottolineò “la necessità di rigorosi accertamenti sulla idoneità dei magistrati all’esercizio delle funzioni direttive”. Ad opinione del capo dello Stato, il Consiglio doveva insistere nel segnalare ai consigli giudiziari la necessità di evidenziare, nelle motivazioni dei pareri per la progressione di carriera dei magistrati, “le attitudini particolari di ciascuno di essi all’esercizio delle specifiche funzioni, con particolare riferimento a quelle direttive, e a quelle di legittimità o di merito”.


Pertini, inoltre, affermò: “Questi pareri, anche in un sistema di progressione caratterizzato da un rilevante automatismo, sono assai importanti perché vanno utilizzati, con gli opportuni aggiornamenti, anche all’atto successivo della valutazione dei magistrati per l’assegnazione e per i trasferimenti in uffici particolarmente delicati”.


Emergeva così per la prima volta, nelle parole del presidente della Repubblica, una preoccupazione circa la possibilità che l’assenza di una effettiva valutazione professionale dei magistrati potesse determinare un appiattimento dei profili dei vari candidati, con il conseguente pericolo (implicito) che l’assegnazione degli incarichi finisse per essere determinata da ragioni diverse da quelle legate al rigoroso accertamento delle idoneità dei candidati a svolgere funzioni direttive e semidirettive.


Ma fu soprattutto durante il mandato presidenziale di Francesco Cossiga che il tema delle degenerazioni del correntismo nella magistratura cominciò a essere al centro di interventi critici espliciti da parte dello stesso capo dello Stato.


Tra i numerosi richiami, merita di essere ricordato quello espresso da Cossiga il 17 novembre 1991, quando il capo dello Stato si oppose alla richiesta di iscrizione all’ordine del giorno di una seduta del Csm di quesiti a suo avviso estranei alle competenze dell’organo, minacciando addirittura in caso di svolgimento della seduta di far sgomberare il Consiglio attraverso il ricorso alla forza pubblica. “Sapete perché sta accadendo tutto questo? – disse Cossiga – Forse voi non lo sapete: ci sono le votazioni per la giunta dell’Associazione nazionale magistrati ed allora vi sono membri del Consiglio Superiore della Magistratura che, notte tardi, mi telefonano dicendo: «Ha ragione Lei, ma se io prendo posizione a suo favore, quelli della corrente avversa avranno più voti che non quelli della mia corrente». Immaginatevi se posso prendere come cosa seria gli atteggiamenti dell’Associazione Nazionale Magistrati! È la disgrazia della magistratura italiana: quella di tante correnti che recitano da partitini e che, recitando da partitini, hanno esigenze di concorrenza corporativa”.


In un’altra occasione Cossiga individuò con grande lucidità le cause dell’emergere del fenomeno del “correntismo” nello smantellamento del tradizionale sistema di carriera dei magistrati (sostituito da un avanzamento per mera anzianità) e nella legge elettorale utilizzata per l’elezione del Csm: “Quando lei fa eleggere un organo con la proporzionale ed i voti di preferenza, l’organo diventa politico per forza perché così come non è vero che il saio non faccia il monaco, il monaco è fatto anche dal saio, la legge elettorale fa l’organo e se lei fa una legge elettorale proporzionale, con liste concorrenti e con i voti di preferenza, è logico che si formino squadre politiche”, dichiarò Cossiga in un’intervista al quotidiano “Il Giornale”.


Da ricordare anche l’appello rivolto da Cossiga il 30 novembre 1991 affinché i magistrati si ribellassero alla politicizzazione e alle logiche spartitorie delle correnti: “Aiutatemi a difendervi, aiutatemi a difendere i magistrati dalle suggestioni dell’avventurismo politico, dal potere di organi che vogliono esercitare funzioni che la Costituzione non riconosce loro, da quella parte fortemente ideologizzata del Consiglio Superiore della Magistratura che, con rinnovati tentativi di assunzione di competenze contro la Costituzione e contro le leggi, tende a non realizzare una corretta amministrazione del corpo dei magistrati in forme che ne garantiscano effettivamente la libertà e l’indipendenza, ma ad attribuirsi un potere di governare i magistrati con metodi lottizzatori, di cui gli stessi magistrati sarebbero le prime vittime”.

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Scalfaro e Ciampi

Seppur con l’impiego di toni ben più equilibrati rispetto al suo predecessore, anche Oscar Luigi Scalfaro avanzò richiami circa l’esigenza di evitare una politicizzazione delle correnti e il condizionamento delle attività del Csm da parte di quest’ultime.


Il 3 giugno 1992 Scalfaro affermò che “la politicizzazione di taluni magistrati è un fatto patologico”. “Lo dice un magistrato che si è politicizzato, ma ha preso la toga e l’ha appesa al chiodo”, aggiunse il capo dello Stato, che tornò sul tema con un monito ben più mirato il 23 dicembre 1992: “L'importante è che ciascuno, nel momento in cui giudica se un collega sia idoneo o meno, si dimentichi di quale settore fa parte nella varia distribuzione interna, che è un segno di libertà della magistratura, quando ritiene che questo collega abbia le capacità. Una virgola di tentativo di avere più benevolenza per chi ha lo stesso gruppo sanguigno porterebbe loro agli stessi mali che noi parlamentari a volte abbiamo generato”.


Anche Carlo Azeglio Ciampi, come Scalfaro, si ritrovò ad agire in un contesto caratterizzato da profonde tensioni tra la politica e la magistratura. Anch’egli, tuttavia, non mancò di chiamare in causa in maniera critica il condizionamento esercitato dalle correnti sulle attività del Csm. Ciò avvenne con un duro intervento al Csm il 26 aprile 2006: “Su questo campo e, più in generale, su quello dell'amministrazione della giurisdizione, e, segnatamente, della gestione dei trasferimenti e delle nomine, il Consiglio ha incontrato difficoltà – affermò Ciampi – Ci sono state delle lentezze che il Vice Presidente del Consiglio superiore della magistratura e il Primo Presidente della Corte di Cassazione hanno addebitato anche ai condizionamenti di logiche correntizie che hanno imposto ‘pause, frenate e mediazioni faticose ben al di là della pur necessaria dialettica’. Capisco, condivido, auspico l'esercizio della dialettica; comprendo le ‘affinità elettive’, ma non ‘discipline di gruppo’ che tendano a influenzare le valutazioni dei singoli”.

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Napolitano e Mattarella

Anche le due presidenze di Giorgio Napolitano si sono collocate in una linea di continuità con il passato, caratterizzandosi per l’adozione di toni distensivi nei confronti della magistratura. Nonostante ciò, numerosissimi sono stati i richiami contro le degenerazioni del “correntismo”.


Fin dall’indirizzo di saluto in occasione del primo incontro con il Csm, avvenuto l’8 giugno 2006, Napolitano, riprendendo il monito espresso da Ciampi, richiamò l’attenzione sui ritardi nelle procedure di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi da parte del Consiglio, dovuti alle trattative tra le correnti: “Le nomine debbono essere tempestive e non passare sotto le forche caudine di interminabili tentativi di mediazione, che espongono questo adempimento primario a polemiche sul condizionamento di visioni correntizie che travalichino i limiti della normale dialettica”.


Un altro duro monito contro le degenerazioni correntizie venne espresso da Napolitano due anni più tardi, il 9 giugno 2009, in un intervento al Csm: “Tra i punti più delicati, nell’interesse della riaffermazione dello stesso ruolo del Consiglio Superiore, c’è quello del rigore e della misura, dell’obbiettività e imparzialità, con cui il Consiglio deve esercitare le sue funzioni: senza farsi, tra l’altro, condizionare nelle sue scelte da logiche di appartenenza correntizia. Il rispetto degli equilibri costituzionali e dei limiti che esso comporta per ciascuna istituzione vale per tutti, vale per tutte le istituzioni”.


Tra i numerosi appelli di Napolitano (tutti rimasti inascoltati), merita di essere citato anche quello espresso il 15 febbraio 2012 affinché la scelta dei magistrati destinati a ricoprire incarichi direttivi e semidirettivi fosse “operata nell’esclusivo rispetto dei parametri della capacità professionale e organizzativa, dell’attitudine al ruolo, dell’autorevolezza e della vocazione a motivare i magistrati addetti all’ufficio”: “Scelte basate esclusivamente sui parametri che ho prima indicato – disse Napolitano – allontanano il pericolo che l’opinione pubblica e, talvolta, gli stessi magistrati abbiano la percezione che alcune di esse siano condizionate da logiche spartitorie e trasversali, rapporti amicali, collegamenti politici”.


Interventi critici nei riguardi dei condizionamenti esercitati dalle correnti sull’attività del Csm furono avanzati da Napolitano anche nel corso del suo, seppur breve, secondo mandato presidenziale. Il 25 settembre 2014, in occasione dell’insediamento del nuovo Consiglio, Napolitano rilevò nuovamente che “un altro profilo di persistente criticità è rappresentato dai tempi e dai criteri di nomina dei capi degli uffici”, sottolineando che “la lentezza con la quale il Consiglio provvede a sostituire i dirigenti è un problema reale, da me più volte – anche di recente – evidenziato per i riflessi negativi che si riverberano sulla funzionalità degli uffici giudiziari”. Napolitano criticò di nuovo gli “estenuanti impropri negoziati nella ricerca di compromessi e malsani bilanciamenti tra correnti”: “Il Csm, nella sua componente togata, non è un assemblaggio di correnti, ma un tutto unitario, nel rispetto delle libere e responsabili valutazioni di ogni suo membro”. Napolitano ribadì, inoltre, che “scelte basate esclusivamente su tali criteri preservano dal rischio che l'opinione pubblica attribuisca alcune di esse a logiche spartitorie, provocando così forme di delegittimazione e sfiducia verso il Csm”.


Persino il 22 dicembre 2014, nel suo ultimo intervento al Csm, e a pochi giorni dalle dimissioni da presidente della Repubblica, Napolitano evidenziò nuovamente che “tra i punti più delicati, nell'interesse della riaffermazione dello stesso ruolo del Consiglio superiore, c’è quello del rigore e della misura, dell’obbiettività e imparzialità con cui il Consiglio deve esercitare le sue funzioni: senza farsi, tra l’altro, condizionare nelle sue scelte da logiche di appartenenza correntizia”.  Il capo dello Stato chiarì che le correnti “sono state e devono essere, infatti, ambiente qualificato di crescita, formazione e dibattito, in direzione di un miglioramento complessivo della funzione giudiziaria, non nel senso della mera difesa di istanze corporative”.


Anche Sergio Mattarella, nonostante sia intervenuto alle sedute del Csm solo in rare occasioni, ha più volte richiamato l’attenzione dei consiglieri sui condizionamenti esercitati dalle correnti sui lavori dell’organo di governo autonomo delle toghe. È significativo, inoltre, che tali richiami siano stati espressi da Mattarella ben prima che emergesse lo scandalo giudiziario che nel giugno 2019 ha travolto il Csm.


L’8 giugno 2015, ad esempio, dopo aver sottolineato che “il Paese ci chiede un’amministrazione della giustizia veloce per dare peso sempre maggiore alla sua autorevolezza” e che “la copertura in tempi rapidi degli incarichi negli uffici giudiziari ne rappresenta il primo necessario tassello”, Mattarella espresse l’auspicio che “la copertura di tutti i posti vacanti e, in particolare, di quelli direttivi e semi direttivi, sia effettuata celermente; e non venga ritardata dalla ricerca di intese su una pluralità di nomine”. Con quest’ultimo passaggio, Mattarella intese riferirsi al fenomeno delle cosiddette “nomine a pacchetto”, cioè quelle nomine che vengono decise raggruppando più incarichi in vari uffici giudiziari, così da garantire gli equilibri tra le correnti.


Le critiche più dure nei confronti delle degenerazioni del “correntismo” sono comunque state mosse da Mattarella all’indomani dello scandalo giudiziario esploso nel 2019, incentrato proprio sulle pratiche spartitorie compiute per le nomine ai vertici dei vari uffici giudiziari.


Dopo aver tenuto – il 21 giugno 2019 – il durissimo intervento citato in apertura di questo articolo, di recente Mattarella è tornato a criticare severamente il sistema delle correnti. Il 18 giugno 2020, infatti, a seguito di una nuova ondata di intercettazioni pubblicate sui giornali e relative all’inchiesta sulle nomine, il capo dello Stato ha affermato: “Questo è il momento di dimostrare, con coraggio, di voler superare ogni degenerazione del sistema delle correnti per perseguire autenticamente l’interesse generale ad avere una giustizia efficiente e credibile. È indispensabile porre attenzione critica sul ruolo e sull’utilità stessa delle correnti interne alla vita associativa dei magistrati”.


Pur dicendosi certo che le logiche correntizie “non appartengono alla magistratura nel suo insieme”, Mattarella ha evidenziato la necessità di apportare delle modifiche normative alle procedure di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi: “È necessario che il tracciato della riforma sia volto a rimuovere prassi inaccettabili, frutto di una trama di schieramenti cementati dal desiderio di occupare ruoli di particolare importanza giudiziaria e amministrativa, un intreccio di contrapposte manovre, di scambi, talvolta con palese indifferenza al merito delle questioni e alle capacità individuali”.

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Richiami inascoltati

Insomma, il fenomeno delle degenerazioni delle correnti nella magistratura è stato al centro di richiami frequenti da parte di tutti i presidenti della Repubblica che si sono succeduti dalla fine degli anni Settanta a oggi, seppur con argomentazioni e modalità espressive di tipo diverso.


Tuttavia, i numerosi richiami espressi dai presidenti della Repubblica affinché nel dibattito interno al Csm e alla magistratura nel suo complesso si affermasse una riflessione sui risvolti negativi generati dalla degenerazione del “correntismo” risultano non aver conseguito il loro obiettivo. Ciò sembra essere confermato, in fondo, proprio dall’emergere dello scandalo delle nomine pilotate al Csm.

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