Cinque date, cinque concerti, cinque storie. Un viaggio tra le note che hanno fatto da colonna sonora ai sogni, alle speranze e alle battaglie di una generazione cresciuta all’ombra del Muro. Podcast di Sky TG24, in collaborazione con Radio 24 – Il Sole 24 Ore
Berlino, 1969. Il Muro che divide la città è in piedi da 8 anni. Da un lato l’ovest e le sue luci, dall’altro i palazzi grigi della DDR. In mezzo, guardie armate pronte a sparare. E nell’aria, la musica: l’unica a viaggiare libera, senza passaporto. Non la puoi fermare, si infila nelle crepe del Muro, entra nelle stanze. Istiga e seduce, riempie la testa di fantasia e coraggio. Nel 1963 John Fitzgerald Kennedy cerca di cambiare il corso della storia dichiarando in tedesco di essere un berlinese; quelle canzoni ti dicono in inglese che puoi essere quello che vuoi. Alcune di loro la cambieranno davvero, la storia.
1- La prima pietra contro il Muro (7 ottobre 1969)
Prendete i Rolling Stones. È anche colpa loro se la musica beat finisce al bando nella Germania Est: quando il primo concerto a Berlino Ovest, nel 1965, degenera in scontri e devastazioni, il regime della DDR prende le contromisure per evitare il contagio sulla gioventù socialista. La loro musica viene proibita. E quando nel 1969 un Dj radiofonico, per scherzo, parla di un concerto di Mick Jagger e compagni in programma sul tetto di un grattacielo affacciato sul Muro, qualcuno a Est lo prende maledettamente sul serio. (LEGGI IL LONGFORM)
2 - Novantanove palloncini (8 giugno 1982)
Quando nel 1982 gli Stones tornano a suonare nell’arena del loro primo concerto berlinese, non ci sono scontri: è una festa, con tanto di palloncini, quelli che colorano il palco e vengono liberati in cielo verso la fine della scaletta. Nel pubblico c’è un musicista che segue il loro volo e li immagina attraversare il Muro e raggiungere la parte Est della città. In altri tempi avrebbe ispirato un canto di libertà. Ma siamo negli anni dei missili Pershing e di "War Games", e quell’immagine diventa una canzone che parla di militari paranoici e di rappresaglie nucleari: nasce così il più grande successo della storia del pop tedesco. (LEGGI IL LONGFORM)
3- La notte in cui gli amanti divennero eroi (6 giugno 1987 )
Passano 18 anni dallo scherzo radiofonico sul concerto degli Stones e l’incubo di un’esibizione a portata d’orecchio per i giovani di Berlino Est diventa realtà: il 6 giugno del 1987 il palco di David Bowie è allestito davanti al Reichstag, a due passi dalla Porta di Brandeburgo. Come se non bastasse, uno spregiudicato impresario ci mette lo zampino: alcuni altoparlanti non sono orientati verso il pubblico, ma in direzione delle centinaia di ragazzi che sono accorsi dall'altra parte del Muro. Non hanno il biglietto, ma pagheranno a caro prezzo. E quella sera la canzone “Heroes” parlerà di loro. (LEGGI IL LONGFORM)
4 - La guerra fredda dei concerti (19 giugno 1988 )
Passa un anno, stessa scena: gli operai sono di nuovo al lavoro per montare un palco davanti al Reichstag: in città arrivano i Pink Floyd (I 40 ANNI DI THE WALL) e Michael Jackson. Ma stavolta a Est hanno pronta la contromossa: aprono le porte agli artisti occidentali e organizzano un festival con James Brown, Marillion e Bryan Adams in un pratone ben lontano dal Muro. È il 1988, l’estate in sui la città di Berlino si trasforma in un ring musicale. La battaglia dei concerti lascerà ferite che non guariranno più (LEGGI IL LONGFORM)
5 - Campane di libertà (19 luglio 1988)
Luglio 1988. Gorbaciov sta allentando la morsa sui Paesi del blocco sovietico, il regime della DDR è a un bivio: assecondare le richieste di libertà con piccole concessioni oppure continuare con il pugno di ferro, rischiando che la corda si spezzi. Controvoglia sceglie la prima strada. E quando spunta la possibilità di invitare Bruce Springsteen a suonare a Berlino Est, alla fine cede. Ma commette un errore fatale: l’idea di affibbiare un'etichetta politica al concerto si rivela un boomerang. Il Boss non solo gliele canta chiare, ma parla. E la sua dedica in tedesco sarà una picconata al Muro, forse decisiva (LEGGI IL LONGFORM).
Bonus tracks
La sera del 9 novembre 1989 i ragazzi del gruppo punk di Berlino Est "Die Anderen" suonano in un locale della parte Ovest della città, il Pike. Hanno un visto temporaneo che li autorizza a superare i posti di blocco: lo hanno utilizzato diverse volte nel pomeriggio, prima per andare a provare il suono nel luogo del concerto, poi per tornare dagli amici e portargli le birre in lattina che si trovano solo a Occidente (dalle loro parti le vendono solo in bottiglia), quindi per tornare alticci al Pike per l’esibizione. Mentre sono sul palco a darci dentro, notano molti volti conosciuti, tra il pubblico. Troppi. Con alcuni di loro si sono ubriacati poche ore prima, dalle parti di Alexanderplatz. Pensano: ci abbiamo dato dentro, forse troppo, anche con la birra. Poi vedono le stesse persone sventolare sotto i loro occhi i documenti di identità della DDR, e capiscono: devono aver suonato davvero forte, perché il Muro è venuto giù.
Nel pubblico del Pike c’è un volto che non conoscono, che praticamente nessuno conosce. È una ragazza inglese, ha vent’anni, è lì a Berlino accompagnata dalla madre. È una musicista, ha già il suo gruppo, gli Automatic Dlamini. Presto in molti la conosceranno come solista, con il suo nome di battesimo: è Polly Jean Harvey, PJ per gli amici.
La mattina del 10 novembre la cantante americana Melissa Etheridge arriva a Berlino a bordo del pullman che la sta scarrozzando nel suo tour europeo. Si è addormentata la sera prima poco fuori Hannover, si sveglia imbottigliata nel traffico di una città impazzita. La sera del 12 novembre salirà su un palco insieme a Joe Cocker, Nena, Nina Hagen e altri artisti tedeschi in un concerto improvvisato per celebrare la caduta del Muro. Ancora oggi racconta di come fosse facile riconoscere nel pubblico chi era dell’Ovest e chi invece proveniva da Est: i primi ballavano, i secondi restavano immobili, con la bocca spalancata, ancora increduli.
L’11 novembre un’altra musica aveva lasciato a bocca aperta la città: quella di Bach, suonata dal leggendario violoncellista Mstislav Rostropovich. Arrivato a Berlino con un jet privato da Parigi, l’allora 62enne esule dell’Unione Sovietica improvvisa un concerto ai piedi del Muro, all’altezza del Checkpoint Charlie, sotto gli occhi beffardi del Mickey Mouse ritratto in un graffito e quelli umidi di lacrime del pubblico spontaneo che gli si è formato intorno.
Questa è la colonna sonora di quei giorni. Ma cosa ascoltavano i tedeschi, nella settimana in cui cadeva il Muro? In testa alla classifica dei singoli più venduti in Germania c’è la “Lambada”. Ironia della sorte, mentre il mondo comunista sta andando in pezzi, al 17esimo posto resiste un Marx: di nome fa Richard, e sta facendo strage di cuori con la sdolcinata “Right here waiting”. Ma scorrendo ancora un poco la hit parade troviamo un nome che cattura la nostra attenzione. È italiano, e ha una caratteristica che lo rende davvero speciale: è l’unico artista presente in classifica con un suo pezzo sia il 9 novembre del 1989, sia il 13 agosto del 1961, quando il Muro di Berlino è stato costruito. Ha una particolare inclinazione a dare alle sue canzoni nomi di donna, e gli porta fortuna: nell’estate del ’61 è al 18esimo posto con “Irena”, nell’autunno dell’89 la versione remixata della sua “Marina” tiene botta in 30esima posizione. Figlio di emigranti calabresi, precoce fisarmonicista, si chiama Rocco Granata. Ma questa è davvero un’altra storia.