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Primavera Araba: la fotostoria delle rivolte

Mondo fotogallery
17 dic 2020 - 07:00 15 foto

Il 17 dicembre 2010 il tunisino Mohamed Bouazizi si dà fuoco dopo aver subito maltrattamenti da parte della polizia. Il suo gesto innesca una rivoluzione nel Paese e con un effetto domino si propaga al mondo arabo fino alla regione del Nord Africa, segnando l'inizio di un'epocale stagione di cambiamenti. LA FOTOGALLERY

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È il 17 dicembre 2010 quando il tunisino Mohamed Bouazizi si dà fuoco in seguito a maltrattamenti subiti da parte della polizia. Il suo gesto estremo di protesta innesca un intero moto di rivolta - la Rivoluzione dei Gelsomini – e con un effetto domino si propaga ad altri Paesi del mondo arabo e della regione del Nord Africa

Morta a 36 anni Lina Ben Mhenni, blogger della rivoluzione tunisina
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I fattori che portano alle proteste iniziali sono la corruzione, l'assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani e la mancanza di interesse delle autorità per condizioni di vita dure, che in molti casi rasentano la povertà estrema, la crescita del prezzo dei generi alimentari e la fame

Omicidio al Cairo, sangue sulla Primavera Araba
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I Paesi maggiormente coinvolti dalle sommosse sono l'Egitto, la Siria, la Libia, la Tunisia, lo Yemen, l'Algeria, l'Iraq, il Bahrein, la Giordania e il Gibuti. Le conseguenze sono tuttora in atto nelle regioni del Medio Oriente, del vicino Oriente e del Nord Africa

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Nel 2011, quattro capi di Stato vengono costretti alle dimissioni, alla fuga e in alcuni casi portati alla morte: in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali (14 gennaio 2011), in Egitto Hosni Mubarak (11 febbraio 2011), in Libia Mu'ammar Gheddafi che, dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, viene catturato e ucciso dai ribelli, con l'aiuto determinante di Stati Uniti e Francia, il 20 ottobre 2011, e in Yemen Ali Abdullah Saleh (27 febbraio 2012)

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I sommovimenti in Tunisia portano il presidente Ben Ali alla fuga in Arabia Saudita. In Egitto, le imponenti proteste iniziate il 25 gennaio 2011 costringono alle dimissioni il presidente Mubarak dopo 30 anni di potere. Nello stesso periodo, il re di Giordania ʿAbd Allāh attua un rimpasto ministeriale e nomina un nuovo primo ministro, con l'incarico di preparare un piano di "vere riforme politiche"

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L'utilizzo di social network come Facebook e Twitter, per la prima volta, gioca un ruolo determinante nell’organizzazione, comunicazione e divulgazione degli eventi. Cittadini di Paesi dove la libertà di espressione è da lungo tempo repressa trovano nuovi canali per poter mettersi in contatto e cercare di scardinare il sistema di potere

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In Tunisia, dove tutto ha inizio, nonostante un rimpasto di governo le rivolte non si placano. Il 13 gennaio 2011 il presidente tunisino Ben Ali, in un intervento trasmesso dalla televisione nazionale, si impegna a lasciare il potere nel 2014 e promette di garantire la libertà di stampa. Il suo discorso però non calma gli animi e le manifestazioni continuano. In serata viene dato l'annuncio che Ben Ali, dopo 24 anni al potere, ha lasciato il Paese

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In Egitto, il 25 gennaio 2011, in seguito ai diversi casi di protesta estrema, violenti scontri si sviluppano al centro del Cairo, con feriti ed arresti, durante le manifestazioni della giornata della collera convocata da opposizione e società civile contro la carenza di lavoro e le misure repressive

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Il fulcro delle manifestazioni è piazza Tahrir, che si trova al centro della metropoli e rappresenta un punto nevralgico della capitale egiziana, ospitando importanti edifici amministrativi, hotel di lusso, l'università americana e il Museo delle antichità egizie. I manifestanti contrari al regime di Mubarak invocano la liberazione dei detenuti politici e la liberalizzazione dei media

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Il 29 gennaio il presidente Hosni Mubarak licenzia il governo e nomina come suo vice l'ex capo dell'intelligence, ʿOmar Sulaymān. Gli scontri e le manifestazioni continuano. Il 5 febbraio si dimette l'esecutivo del Partito nazionale democratico di Mubarak, mentre il rais alcuni giorni dopo delega tutti i suoi poteri a Sulaymān. L'11 febbraio il vice presidente annuncia le dimissioni di Mubarak mentre oltre un milione di persone continuano a manifestare nel Paese

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L'Egitto è lasciato nelle mani di una giunta militare presieduta dal feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi, in attesa che venga emendata la costituzione e predisposta la convocazione di nuove elezioni. Le elezioni presidenziali del 2012 sono vinte da Mohamed Morsi, sostenuto dal movimento islamista dei Fratelli Musulmani, il quale, a sua volta, viene rovesciato dal colpo di stato del generale al-Sisi l'anno successivo

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In Libia Il 16 febbraio 2011 si verificano scontri fra manifestanti e polizia. Il 17 febbraio, giornata della collera, milizie giunte da Tripoli a Beida, nell'est del Paese, attaccano i manifestanti, causando morti e numerosi feriti. Molti dei decessi registrati sono concentrati nella sola città di Bengasi, tradizionalmente poco fedele al leader Mu'ammar Gheddafi e più influenzata dalla cultura islamista. Il 20 febbraio il numero delle vittime si avvicina ai 300 morti

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Il 21 febbraio la rivolta si allarga anche alla capitale Tripoli, dove i contestatori danno fuoco a edifici pubblici. Il 21 febbraio cominciano le defezioni dei politici libici: la delegazione libica all'Onu prende nettamente le distanze da Gheddafi. Il vice-ambasciatore libico, Ibrahim Dabbashi, a capo della squadra diplomatica libica, accusa il Colonnello di essere colpevole di genocidio e di aver praticato crimini contro l'umanità. Il 20 ottobre 2011 Gheddafi viene catturato e ucciso vicino Sirte

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In Siria, il 26 gennaio 2011 Ali Akleh ad Amman si dà fuoco, in segno di protesta contro il governo siriano. A fine gennaio su Facebook vengono invocate manifestazioni in tutto il Paese dopo la preghiera settimanale islamica contro la monocrazia, la corruzione e la tirannia, nella prima giornata della collera del popolo siriano e della ribellione civile in tutte le città siriane

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Le sommosse popolari in Siria del 2011-2012 rappresentano un moto di contestazione simile a quelli del resto del mondo arabo. Le proteste hanno l'obiettivo di spingere il presidente siriano Bashar al-Assad ad attuare le riforme necessarie a dare un'impronta democratica allo Stato. Il regime procede a sopprimere, anche ricorrendo alla violenza, le dimostrazioni, provocando un numero imprecisato di vittime. In seguito, dalla sostanzialmente pacifica ribellione popolare, la Siria precipita in una guerra civile

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