
George Floyd, due anni fa la morte che ha infiammato le proteste BLM negli Usa
Il 25 maggio 2020 il 46enne afroamericano venne immobilizzato durante un arresto e morì poco dopo in ospedale. Il video che mostrava il comportamento degli agenti fece il giro del mondo rendendo ancora di più noto il movimento Black Lives Matter e scatenando proteste contro il razzismo e la violenza delle forze dell’ordine. L'agente che lo soffocò premendogli il ginocchio sul collo è stato condannato, ma ha presentato appello

25 maggio 2020, Minneapolis, Stati Uniti. È sera e c’è un uomo di colore disteso a terra, ammanettato che ripete "I can’t breath" (‘Non riesco a respirare). Un agente di polizia gli preme un ginocchio sul collo mentre altri due lo tengono fermo. Intorno a loro, alcune persone assistono alla scena e la filmano. Chiedono più volte ai tre di fermarsi e a un loro collega - rimasto in piedi lì vicino - di intervenire, ma l’uomo rimane a terra finché non arriva un’ambulanza. All’ospedale, ne verrà poi dichiarato il decesso
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L’uomo a terra era George Floyd e oggi ricorrono i due anni dalla sua morte: un evento che ha segnato profondamente gli Usa e il mondo intero, dando nuova linfa al movimento Black Lives Matter e scatenando ondate di proteste sia contro il razzismo che la violenza delle forze dell’ordine statunitensi, queste ultime accompagnate spesso dallo slogan "Defund the police" (togliete fondi alla polizia)
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Quel 25 maggio, gli agenti erano intervenuti perché era stato segnalato che un uomo - cioè Floyd - aveva pagato un pacchetto di sigarette con una banconota falsa da 20 dollari. Come ricostruisce un articolo del New York Times, quando la polizia arrivò sul posto, Floyd era in macchina, seduto al posto del guidatore
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Uno degli agenti chiese a Floyd di mostrargli le mani e di aprire lo sportello dalla macchina, cosa che lui fece dopo numerose richieste. Qualche secondo dopo, lo stesso agente estrasse la pistola, la puntò nella direzione di Floyd, gli chiese di sollevare le mani e - senza spiegargli il motivo di quello che stava accadendo - lo tirò fuori dalla macchina
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In un primo momento, Floyd venne portato nell’auto della polizia, ma fece resistenza dicendo più volte di essere claustrofobico. A un certo punto disse che si sarebbe steso a terra. Fu in questo momento che tre degli agenti lo immobilizzarono, con la faccia rivolta verso la strada. Uno di loro - Derek Chauvin - iniziò a premergli il ginocchio sul collo
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Dopo qualche minuto, l’agente che era rimasto in piedi si avvicinò per accertarsi delle condizioni di Floyd su richiesta delle persone che stavano assistendo alla scena. Il poliziotto disse che non riusciva a sentirgli il polso, ma i suoi colleghi non lasciarono la presa, compreso Chauvin. Dopo alcuni minuti, Floyd venne infine caricato su un ambulanza e portato in ospedale. Qui, alle 21:25, venne dichiarato il decesso

Se oggi sappiamo quello che è successo è grazie al processo, ma soprattutto grazie al video dell’arresto di Floyd che diventò subito virale dando vita prima a manifestazioni pacifiche, poi a rivolte più violente ed episodi di guerriglia non solo a Minneapolis - dove Floyd era morto - ma anche in altre città americane
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La frase "I can’t breathe" venne scritta sui manifesti e ripetuta dalle persone che scelsero di scendere in strada, sia negli Usa che altre parti del mondo, per protestare contro la morte di Floyd e condannare più in generale il razzismo e la violenza della polizia. Nello stesso periodo, alcune persone iniziarono anche ad inginocchiarsi per manifestare la loro vicinanza al movimento Black Lives Matter: alcuni giocatori lo fecero anche un anno più tardi, in occasione degli Europei di calcio
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Il trattamento riservato a Floyd, si scoprì poi, non era un caso isolato e gli agenti di polizia avevano mentito sulla dinamica dell’accaduto. In un primo comunicato, si disse che gli agenti avevano chiamato l’ambulanza perché avevano notato che Floyd “sembrava soffrire di un disagio medico”
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Le immagini di una telecamera di sorveglianza evidenziarono, però, che Floyd era collaborativo, non si oppose all’arresto ed era anche molto preoccupato. Un’autopsia indipendente condotta su volere della famiglia della vittima determinò poi come causa di morte l'asfissia provocata dalla manovra dell’agente che gli teneva il ginocchio premuto sul collo, ostruendo così il flusso sanguigno verso il cervello

Alcuni giorni dopo la morte di Floyd, Chauvin venne arrestato con l’accusa di omicidio. Qualche giorno più tardi vennero incriminati anche gli altri suoi tre colleghi, con l’accusa di aver facilitato l’omicidio. Tutti e quattro furono licenziati e agli inizi di giugno, il capo della polizia di Minneapolis, Medaria Arradondo (nella foto a destra) annunciò un piano per riformare il dipartimento di polizia locale

Il processo contro Dereck Chauvin iniziò il 29 marzo 2021, alcuni mesi dopo che era stato liberato a seguito del pagamento di una cauzione pari a 1 milione di dollari. Il 20 aprile, un giorno dopo la fine del dibattimento, venne dichiarato colpevole per tutti i capi di imputazione e circa due mesi dopo venne stabilita la pena: 22 anni e mezzo di carcere. Lo scorso 27 aprile, a quasi un anno di distanza da quel verdetto, ha presentato appello
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Lo scorso 24 aprile, gli altri tre agenti coinvolti nell’omicidio sono stati ritenuti colpevoli per non essere intervenuti mentre Chauvin uccideva Floyd. Il loro caso, scrive il New York Times, ha rappresentato “un raro esempio del Dipartimento di Giustizia di perseguire gli agenti per la loro inazione mentre un altro usava forza eccessiva. Il verdetto segnala ai dipartimenti di polizia americani che i giurati sono diventati più disposti a condannare non solo gli agenti che uccidono durante il lavoro, ma anche coloro che li guardano farlo”
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Più nel dettaglio, scrive la testata, “una giuria federale ha determinato che i tre hanno violato volontariamente i diritti costituzionali di Floyd per non avergli prestato assistenza medica quando ha perso il polso e che due di loro erano anche colpevoli di non essere intervenuti per impedire a un altro agente di mettere il suo ginocchio sul collo di George Floyd”

A partire dal prossimo 13 giugno, i tre agenti avrebbero dovuto affrontare anche un altro processo per rispondere del loro coinvolgimento nella morte di Floyd. Lo scorso 19 maggio uno di loro - Thomas Lane (in foto) - si è però dichiarato colpevole di un capo d’accusa (aiuto e favoreggiamento di omicidio colposo di secondo grado) come parte di un accordo e non sarà per questo giudicato, ma sconterà direttamente la pena
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