Pact on Migration: come la Commissione Europea affronterà l’immigrazione nel Mediterraneo

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Vincenzo Genovese

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Lo scorso settembre a Bruxelles è stata presentata la strategia per affrontare il fenomeno con un approccio comune. Ma rimangono dei punti critici e i negoziati fra i Paesi membri si annunciano complicati

“Forse non una soluzione perfetta, ma una soluzione accettabile per tutti”: queste parole della commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson racchiudono lo spirito del Pact on Migration, la strategia della Commissione Europea per gestire meglio i flussi migratori diretti in Europa.

 

Cos’è il Pact on Migration


Il New Pact on Migration and Asylum non è un singolo strumento normativo, ma un pacchetto composto da cinque proposte di legge, tre raccomandazioni e un testo di linee guida. Punta a definire un approccio europeo al fenomeno migratorio, intervenendo in particolare su una parte di questo fenomeno, molto dibattuta sia a livello comunitario che nazionale: gli arrivi irregolari di migranti nei Paesi del Sud Europa. Lanciato dalla Commissione Europea lo scorso 23 settembre, dovrà ora essere discusso nelle sue varie parti dal Parlamento Europeo e dai governi dei 27 Stati membri. Dato l’argomento controverso e le diverse posizioni di molti di essi, le trattative si annunciano lunghe e complesse.

Un piano in tre fasi

 

La proposta della Commissione presenta un approccio in tre parti. La prima riguarda le relazioni dell’UE con i “Paesi chiave” di origine e transito dei migranti, come ad esempio la Turchia o gli Stati dell’Africa mediterranea. L’UE incoraggia partnership che rafforzino sia l’economia di questi Paesi (con investimenti in commercio, istruzione, ricerca), sia le loro capacità concrete di evitare le partenze verso l’Europa. L’obiettivo, spiega la Commissione, è stipulare accordi convenienti per entrambe le parti. Tra gli aspetti da sviluppare ci sono la protezione dei rifugiati, i corridoi per la migrazione legale e i rimpatri: come dichiarato da Johansson, gli Stati UE al momento riescono a riportare indietro, in media, solo il 30% delle persone migranti che dichiarano irregolari sui propri territori.

Più controlli alle frontiere

La seconda parte del pacchetto prevede un irrobustimento dei controlli di frontiera: questa volontà si traduce in un maggiore budget a disposizione di Frontex, l’agenzia europea che ha il compito di pattugliare i confini esterni dell’Unione. Viene proposto un meccanismo di pre-entry screening: tutti coloro che arrivano in modo irregolare alle porte d’Europa (comprese i migranti salvati in mare) dovranno essere identificati e inseriti in un database comune, Eurodac. Diversamente rispetto a ora, questo processo sarà gestito a livello europeo, portato a termine al massimo in cinque giorni e “vicino ai confini esterni”, indicazione difficile da decifrare in caso di Paesi costieri.

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La suddivisione fra i migranti

In questo modo la Commissione auspica una procedura rapida per capire chi fra i migranti ha concrete possibilità di ricevere protezione internazionale e chi è probabilmente destinato al rimpatrio, perché proveniente da un Paese con un basso tasso di rifugiati. Per rimanere in regola con la Convenzione di Ginevra, sarà comunque necessario valutare singolarmente ogni richiesta di asilo, ma in questi ultimi casi con un processo più spedito, detto border procedure. L’aspetto forse più critico dell’intero Pact on Migration è quello sulla solidarietà interna fra i membri dell’Unione Europea. Da tempo i Paesi di frontiera chiedono una "responsabilità condivisa”: in sostanza la ricollocazione dei migranti giunti sul loro territorio in altri Paesi meno esposti al fenomeno.

Il “nuovo” sistema di Dublino

Secondo il sistema di Dublino, attualmente in vigore, a un cittadino di un Paese terzo è consentito richiedere asilo soltanto nel Paese europeo dove fa il suo primo ingresso. Ciò comporta una pressione maggiore su Grecia, Italia, Malta e Spagna, quei Paesi dove devono chiedere asilo tutti coloro che arrivano irregolarmente in Europa. La Commissione ha sì proposto un nuovo regolamento (Asylum and Migration Management Regulation), ma senza modificare nella sostanza il principio del Paese di primo ingresso: ci sarebbero più deroghe a questa regola (come parenti o titoli di studio ottenuti in altri Paesi), ma che non riguardano la maggior parte degli applicanti.

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Ricollocamenti non obbligatori

Particolarmente complesso è anche il meccanismo che prevede, in alcuni casi circoscritti, il ricollocamento di alcuni migranti all'interno dell'UE. I Paesi del blocco di Visegrad (Polonia, Ungheria, Cechia e Slovacchia) sono da sempre fortemente contrari a quote obbligatorie di ripartizione dei richiedenti asilo. Per questo la Commissione ha studiato un piano alternativo: gli Stati potranno farsi carico dei migranti o accogliendo sul loro territorio dei richiedenti asilo, oppure organizzando dei “rimpatri sponsorizzati”, cioè gestendo e finanziando le operazioni di rimpatrio di quelle persone che hanno già visto respinta la propria domanda. Questo meccanismo entra in funzione anche nel caso dei salvataggi in mare aperto, una situazione che riguarda da vicino il nostro Paese. Non è ancora chiaro però, quanto e come gli altri saranno disposti a cooperare.

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